Professionisti e Imprese – Appalti e Contratti https://www.appaltiecontratti.it Wed, 13 Mar 2024 17:59:04 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.2.4 https://www.appaltiecontratti.it/wp-content/uploads/2024/02/cropped-Appalticontratti_PA.png?w=32 Professionisti e Imprese – Appalti e Contratti https://www.appaltiecontratti.it 32 32 Sulla possibilità o meno di «rinegoziare» (rectius «negoziare») il contenuto di alcune condizioni contrattuali nella fase che intercorre tra l’aggiudicazione e la stipula del contratto https://www.appaltiecontratti.it/sulla-possibilita-o-meno-di-rinegoziare-rectius-negoziare-il-contenuto-di-alcune-condizioni-contrattuali-nella-fase-che-intercorre-tra-laggiudicazione-e-la-stipula-d/ https://www.appaltiecontratti.it/sulla-possibilita-o-meno-di-rinegoziare-rectius-negoziare-il-contenuto-di-alcune-condizioni-contrattuali-nella-fase-che-intercorre-tra-laggiudicazione-e-la-stipula-d/#respond Wed, 13 Mar 2024 17:59:02 +0000 https://www.appaltiecontratti.it/?p=35943 La fattispecie alla base della sentenza n. 1774/2024 della V Sezione del Consiglio di Stato – già commentata su questa Rivista a cura di Giovanni F. Nicodemo, È contrario a buona fede e correttezza il comportamento della p.a. che tarda a convocare l’aggiudicatario per stipulare – consente di soffermarsi su una questione che non è certamente nuova in giurisprudenza, ovverosia sulla possibilità o meno di ricondurre il contratto ad utilità nella fase che intercorre tra l’aggiudicazione e la stipula del contratto, in presenza di sopravvenienze imprevedibili ed estranee al normale ciclo economico, in grado di generare condizioni di shock eccezionale.

E ciò in quanto, nel caso in esame, a seguito dell’insorgenza del conflitto russo-ucraino e delle dinamiche che erano derivate (impossibilità di reperire sul mercato tutta una serie di materie prime indispensabili per l’esecuzione delle prestazioni contrattuali, da un lato e incremento esponenziale dei prezzi dei materiali disponibili, dall’altro), l’impresa aggiudicataria aveva presentato all’Amministrazione un’istanza di adeguamento delle condizioni contrattuali, preannunciando che, in difetto, avrebbe irrevocabilmente rinunciato alla stipula del contratto, circostanza che poi, di fatto, si è verificata (v. T.A.R. Friuli Venezia Giulia, Sez. I, 17 aprile 2023, n. 155).

Sull’argomento si registrano due posizioni contrastanti.
Ad avviso di un primo orientamento, essendo «del tutto ovvio che ogni azzeramento di una procedura amministrativa in assenza di specifiche illegittimità che la affliggono ha un costo (in termini di tempo e dispendio di inutile attività amministrativa) e un rischio (a fronte degli altrui affidamenti nelle more consolidatisi) per l’amministrazione», la scelta di quest’ultima di definire i termini della «necessaria rinegoziazione» ancor prima di procedere alla stipula del contratto «si configura in fondo come prudente», considerato che la rinegoziazione implica l’accordo della controparte e che, ove tale accordo non venisse raggiunto, si rafforzerebbe in capo all’Amministrazione stessa la possibilità di disporre la revoca sia in ragione delle predette sopravvenienze sia in considerazione del ragionevole rispetto delle aspettative dell’aggiudicatario (cfr. T.A.R. Piemonte, Sez. I, 28 giugno 2021, n. 667).

Tale conclusione risulta suffragata dalle seguenti considerazioni: i) il principio di immodificabilità del contratto non ha carattere assoluto e le variazioni contrattuali non violano, sempre e comunque, i principi fondamentali che governano la materia dell’evidenza pubblica (così T.A.R. Toscana, Sez. I, 25 febbraio 2022, n. 228); ii) in presenza di una lacuna dell’ordinamento, dovuta all’assenza di una disciplina specifica delle sopravvenienze applicabile alla fase che intercorre tra l’aggiudicazione e la stipulazione del contratto, può farsi ricorso all’analogia ex art. 12, comma 2, delle preleggi, data l’«eadem ratio» (cfr. T.A.R. Sardegna, Sez. II, 16 novembre 2022, n. 770); iii) una corretta applicazione dei principi di efficacia e di economicità – e, dunque, di buon andamento della pubblica Amministrazione – impone di scongiurare la riedizione della procedura di gara in presenza di modifiche «non essenziali» delle condizioni contrattuali (così T.A.R. Sardegna, n. 770/2022, cit.); iv) è onere dell’Amministrazione assicurarsi di addivenire alla stipula del contratto in condizioni di equilibrio, adottando – se del caso – le misure necessarie a ristabilire (e non già ad alterare in favore dell’aggiudicatario) l’originario equilibrio contrattuale (cfr. T.A.R. Piemonte, Sez. II, 20 febbraio 2023, n. 180).

Inoltre, non ha alcun senso focalizzarsi sulla mancata stipula del contratto, dal momento che: i) detto elemento «non ha alcuna rilevanza per l’ordinamento eurounitario da cui la disciplina degli appalti è derivata»; ii) la dicotomia tra la fase pubblicistica e quella privatistica «non corrisponde alla realtà economica dell’appalto, che presenta invece una sua fisiologica continuità»; iii) è del tutto pacifico che «ben prima della formale stipulazione del contratto possono aversi attività esecutive (si pensi all’esecuzione urgente ed anticipata) e ben dopo la stipula del contratto possono aversi momenti pubblicistici (si pensi alla risoluzione contrattuale perché l’impresa è colpita da un’interdittiva antimafia)» (così T.A.R. Piemonte, n. 667/2021, cit.).

Di contro, secondo un differente filone interpretativo, prima della stipula del contratto non è «giuridicamente ipotizzabile né ammissibile alcuna ipotesi di revisione del prezzo, che per sua natura presuppone un contratto (ad esecuzione continuata e periodica) già in corso». Ne segue che, nel caso in cui l’evento imprevisto e imprevedibile si verifichi prima della stipula del contratto, «l’impresa aggiudicataria è tutelata con la possibilità di rifiutare la sottoscrizione del contratto, una volta cessata la vincolatività della propria offerta» (cfr. T.A.R. Lombardia Brescia, Sez. I, 10 marzo 2022, n. 239, confermata da Cons. Stato, Sez. IV, 31 ottobre 2022, n. 9426).

La possibilità di negoziare le condizioni contrattuali risulta preclusa anche perché «non può omettersi di considerare come la pretesa alla rimodulazione dei corrispettivi prima della stipula del contratto (e, quindi, in una fase differente dall’esecuzione) alteri il confronto tra gli operatori (…) finendo per “premiare” il concorrente che indica il prezzo maggiormente competitivo (anche senza quella necessaria prudenza che si richiede ad un soggetto qualificato e da tempo operante nel mercato), salvo poi predicare l’insostenibilità delle condizioni originarie del contratto, determinate anche in ragione della propria offerta» (così T.A.R. Lombardia Milano, Sez. II, 10 giugno 2022, n. 1343, non appellata).

Inoltre, l’art. 106 del d.lgs. n. 50/2016 – rubricato «Modifica di contratti durante il periodo di efficacia» – «scolpisce in modo netto i propri confini operativi, circoscrivendoli al caso nel quale, conseguita l’aggiudicazione, non solo sia già stato stipulato il contratto, ma questo sia anche efficace e in corso di validità». Tale disciplina non è conseguentemente «applicabile analogicamente al di fuori dell’area normativa così disegnata, posto che lo spazio che precede la stipula del contratto (…) rimane presidiato dai principi dell’evidenza pubblica i quali non consentono l’apprezzabile modifica (ancorché quantitativa) dell’oggetto dell’appalto, se non a prezzo di vulnerare la par condicio tra i concorrenti (…), né in conseguenza la possibilità di riformulare l’offerta (e non il contratto) che rimane invece connotata da immutabilità dei contenuti e dalla tassatività dei termini di presentazione» (cfr. T.A.R. Lazio Roma, Sez. III-quater, 27 novembre 2017, n. 11732).

La questione in esame sarà probabilmente destinata a ripresentarsi anche nella vigenza del nuovo Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 36/2023), considerato che: i) gli artt. 9, 60 e 120 contengono al loro interno un riferimento espresso al concetto di «contratto»; ii) la Relazione di accompagnamento, nell’illustrare il contenuto dell’art. 9, chiarisce che «L’articolo (…) mira a disciplinare le sopravvenienze che possono verificarsi nel corso dell’esecuzione del contratto (…)» e che «Viene, in tal modo, introdotto un rimedio manutentivo del contratto, maggiormente conforme all’interesse dei contraenti – e dell’amministrazione in particolare – in considerazione dell’inadeguatezza della tutela meramente demolitoria apprestata dall’art. 1467 c.c.».
Forse, si sarebbe potuto approfittare delle indicazioni contenute nella legge delega (adeguare la disciplina dei contratti pubblici «ai principi espressi dalla giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori, interne e sovranazionali» – cfr. art. 1, comma 1, della l. n. 78/2022) per risolvere definitivamente il contrasto giurisprudenziale di cui si è dato atto in questa sede.

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È contrario a buona fede e correttezza il comportamento della p.a. che tarda a convocare l’aggiudicatario per stipulare https://www.appaltiecontratti.it/e-contrario-a-buona-fede-e-correttezza-il-comportamento-della-p-a-che-tarda-a-convocare-laggiudicatario-per-stipulare/ https://www.appaltiecontratti.it/e-contrario-a-buona-fede-e-correttezza-il-comportamento-della-p-a-che-tarda-a-convocare-laggiudicatario-per-stipulare/#respond Thu, 07 Mar 2024 07:15:00 +0000 https://www.appaltiecontratti.it/?p=35201 Prologo

Sebbene il termine per la stipula del contratto sia ordinatorio, non può essere rimesso ad libitum alla stazione appaltante in quanto, ove l’amministrazione procedente potesse costringere in ogni tempo l’operatore a concludere il contratto d’appalto, la relativa disposizione di legge risulterebbe completamente svuotata della funzione che le è propria; vale a dire quella di tutelare «l’aggiudicatario, il quale deve poter calcolare ed attuare le scelte imprenditoriali entro tempi certi». 
Infatti una volta che sia decorso il termine di centottanta giorni di validità dell’offerta, e quello di sessanta giorni previsto per la stipulazione del contratto, l’ordinamento consente all’operatore economico, specie ove questi abbia visto mutare in senso peggiorativo le condizioni di esecuzione dell’appalto, di affrancarsi dall’impegno originariamente assunto. 
Un’impresa che ha la facoltà di rinunciare all’esecuzione di un’opera, in virtù dell’inutile decorso dei termini ultimi per la tempestiva stipulazione del contratto d’appalto, nonché del decorso del termine di centottanta dalla presentazione dell’offerta, non può comunque ritenersi tenuta ad assoggettarsi al vincolo negoziale, per il fatto che il legislatore è intervenuto con una normativa di natura emergenziale, apprestando delle soluzioni in ogni caso non idonee a ripristinare integralmente l’equilibrio sinallagmatico compromesso dagli eccezionali eventi perturbatori, dovendo la stessa applicarsi ai soli rapporti in corso, per i quali sia già intervenuto il vincolo negoziale.
Lo stabilisce il Consiglio di Stato sez. V con la Sentenza del 22 febbraio 2024 n. 1774. 

Il caso 

La questione controversa ha avuto ad oggetto la legittimità amministrativa di un provvedimento di autotutela disposto dalla pubblica amministrazione sulla aggiudicazione di una gara di lavori. 
La stazione appaltante era addivenuta all’annullamento d’ufficio dell’aggiudicazione a seguito del rifiuto da parte dell’aggiudicatario a stipulare il contratto.
Quest’ultimo, infatti, sulla premessa che nelle more della stipula alcuni prezzi delle materie prime avevano subito vertiginosi aumenti, tali da rendere inattuale e non remunerativa l’offerta, aveva chiesto al contraente pubblico di rivedere il prezzo del contratto.
La P.A. tuttavia aveva sempre rigettato la richiesta di modifica del prezzo del contratto di talché l’impresa, come sopra accennato, decideva definitivamente di ritirare l’offerta.
Da qui l’annullamento d’ufficio dell’aggiudicazione che la stazione appaltante asserisce essere dipesa dal comportamento inadempiente dell’aggiudicatario.
Chiedendo contestualmente l’escussione della cauzione provvisoria e segnalando la vicenda all’ Anac. 
Quindi l’impresa insorgeva dinanzi al giudice amministrativo chiedendo l’annullamento del provvedimento proprio nella parte in cui la pubblica amministrazione nel disporre l’autotutela sull’aggiudicazione addossava all’aggiudicatario la causa di inadempimento.
Tuttavia sia il giudice di primo grado che il Consiglio di Stato hanno ritenuto illegittima la decisione della pubblica amministrazione sostenendo invece che fosse quest’ultima ad essere responsabile della mancata stipula del contratto in quanto aveva immotivatamente ritardato a convocare l’impresa proprio per la stipula. 
La decisione in esame mette in evidenza che nell’ipotesi di specie, si è dapprima assistito all’infruttuoso decorso del termine stabilito dalla legge per la stipulazione del contratto; e successivamente, quando ormai l’impresa poteva legittimamente decidere di svincolarsi dall’impegno assunto in gara, essa aveva fatto presente che sarebbe stata disponibile a realizzare l’opera unicamente a fronte di un integrale riequilibrio del sinallagma.
Per il Consiglio di Stato la circostanza che l’amministrazione non intendesse dar seguito alla richiesta dell’aggiudicataria, considerandola contra legem, non legittimava la stessa a tenere un comportamento inerte per altri mesi, per poi imputare all’aggiudicataria la mancata stipula del contratto, in quanto la medesima amministrazione, laddove avesse ritenuto (come, di fatto, ha ritenuto) che non vi fosse margine in tal senso, altro non avrebbe potuto/dovuto fare che prendere lealmente atto della volontà legittimamente manifestata dall’aggiudicataria e, poi, assumere le conseguenti determinazioni per assicurare, se ancora di suo interesse, la realizzazione dei lavori.

La decisione

La decisione si fonda sui seguenti principi già elaborati dalla giurisprudenza amministrativa:
costituisce un’evidente forzatura il procedere con l’aggiudicazione di un contratto nella consapevolezza che lo stesso si dimostri già inizialmente inadeguato al punto di dover immediatamente azionare (prima ancora della stipulazione) istituti di legge che sono invece destinati ad assolvere necessità impreviste e sopravvenute nel corso dell’esecuzione del contratto” Cons. Stato, Sez. V, 11.1.2022, n.202 ; 
rientra nei generali principi di buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione, sanciti dalla Costituzione, nonché nei canoni comunitari di proporzionalità e trasparenza, l’obbligo – nelle procedure ad evidenza pubblica – di stabilire compensi remunerativi capaci di mettere i concorrenti nella condizione di presentare un’offerta sostenibile ed affidabile e di eseguire l’impegno negoziale in conformità della stessa, evitando il serio rischio di distorsioni nelle dinamiche concorrenziali e dell’effettuazione di lavori o erogazione di servizi di scarsa qualità.
la stazione appaltante può certamente procedere alla consegna dei lavori in via d’urgenza, «nelle more della verifica dei requisiti di cui all’art. 80, D.Lgs. 50/2016, nonché dei requisiti di qualificazione previsti per la partecipazione alla procedura»; ma ciò evidentemente non la esime dal dare tempestivamente corso alla stipulazione del contratto, una volta che le predette verifiche si siano concluse.
Il giudice amministrativo in definitiva ricorda come il comportamento della Pubblica Amministrazione, all’indomani dell’aggiudicazione, e in vista della stipula del contratto deve essere improntato ai principi di buona fede e correttezza. 
Il mancato rispetto del termine fissato dalla legge per la stipula del contratto integra un comportamento violativo dei predetti principi, tanto più se da esso dipende la preclusione per il privato di utilizzare istituti emergenziali previsti per il ripristino dell’equilibrio negoziale, tuttavia non attivabili nella fase che precede la formazione del vincolo contrattuale. 

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Procedimentalizzazione dell’affidamento diretto e inapplicabilità della disciplina in materia di gare pubbliche https://www.appaltiecontratti.it/procedimentalizzazione-dellaffidamento-diretto-e-inapplicabilita-della-disciplina-in-materia-di-gare-pubbliche/ https://www.appaltiecontratti.it/procedimentalizzazione-dellaffidamento-diretto-e-inapplicabilita-della-disciplina-in-materia-di-gare-pubbliche/#respond Tue, 05 Mar 2024 10:20:27 +0000 https://www.appaltiecontratti.it/?p=31220 Affidamento diretto – Art. 1, comma 2, lett. a) d.l. 16 luglio 2020, n. 76 – Art. 30 d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 – Predeterminazione criteri valutativi – Valutazione comparativa – Confronto tra preventivi – Graduatoria finale – Esigenze della stazione appaltante – Onere di motivazione della scelta – Discrezionalità della stazione appaltante 

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. v, 15 GENNAIO 2024, N. 503

La mera procedimentalizzazione dell’affidamento diretto, mediante l’acquisizione di una pluralità di preventivi e l’indicazione dei criteri per la selezione degli operatori, non trasforma l’affidamento diretto in una procedura di gara, né abilita i soggetti che non siano stati selezionati a contestare le valutazioni effettuate dall’amministrazione circa la rispondenza dei prodotti offerti alle proprie esigenze.
L’acquisizione di più offerte non comporta la trasformazione della procedura [di affidamento diretto] in una gara vera e propria, trattandosi piuttosto di un mero confronto di preventivi, con conseguente dovere della stazione appaltante di motivare la scelta dell’aggiudicatario non in ottica comparativa, ma solo in termini di economicità e di rispondenza dell’offerta alle proprie esigenze [in tal senso, non rileva l’omissione di una graduatoria finale].

Il caso di specie

La vicenda riguarda una procedura bandita dal Politecnico di Milano (stazione appaltante) per l’affidamento dei servizi di rassegna stampa (web) e audio-video e di analisi semestrale e annuale della rassegna stampa.
La stazione appaltante, per l’affidamento del contratto, avviava una procedura semplificata di affidamento diretto, secondo quanto previsto dall’art. 1, comma 1, lett. a) d.l. n. 76/2020 (c.d. “Decreto semplificazioni”), il quale, a suo tempo, stabiliva: “…le stazioni appaltanti procedono all’affidamento delle attività di esecuzione di lavori, servizi e forniture, nonché dei servizi di ingegneria e architettura, inclusa l’attività di progettazione, di importo inferiore alle soglie di cui all’articolo 35 del decreto legislativo n. 50 del 2016 secondo le seguenti modalità:
a) affidamento diretto per lavori di importo inferiore a 150.000 euro e per servizi e forniture, ivi compresi i servizi di ingegneria e architettura e l’attività di progettazione, di importo inferiore a 139.000 euro. In tali casi la stazione appaltante procede all’affidamento diretto, anche senza consultazione di più operatori economici, fermo restando il rispetto dei principi di cui all’articolo 30 del codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, e l’esigenza che siano scelti soggetti in possesso di pregresse e documentate esperienze analoghe a quelle oggetto di affidamento, anche individuati tra coloro che risultano iscritti in elenchi o albi istituiti dalla stazione appaltante, comunque nel rispetto del principio di rotazione […]”.
Avverso l’affidamento del contratto insorgeva una delle imprese partecipanti al confronto, la quale proponeva ricorso al TAR dolendosi, per quanto di interesse, di alcune presunte violazioni procedimentali commesse dalla stazione appaltante, relative alla mancata valutazione comparativa delle offerte presentate dai partecipanti e all’omessa formazione di una graduatoria finale.

La decisione del TAR

In prime cure, il giudice (TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 17 aprile 2023, n. 949) respingeva il ricorso. In merito alle contestate anomalie, il giudice chiariva come non vi fosse alcun obbligo, in capo alla P.A., di redigere una graduatoria o di assegnare a ciascuna offerta un punteggio numerico sotto il profilo qualitativo ed economico, e ciò in quanto la procedura seguita per la scelta dell’aggiudicatario era quella dell’affidamento diretto, come stabilito dal legislatore dell’emergenza sanitaria (d.l. n. 76/2020).
La previsione relativa all’acquisizione di più offerte e la predeterminazione di criteri selettivi (con espressa indicazione, nel disciplinare, che non sarebbe stata formata una graduatoria finale) non avrebbero snaturato la procedura individuata dall’amministrazione, non trasformando così l’affidamento diretto in una gara.
Il procedimento intrapreso, secondo il TAR, avrebbe continuato a configurarsi come mero “confronto di preventivi”, imponendosi esclusivamente la motivazione della scelta in termini di economicità e di rispondenza dell’offerta alle esigenze della stazione appaltante.
In tal senso, il giudice richiamava la giurisprudenza in materia (si cita Cons. Stato, sez. IV, 23 aprile 2021 n. 3287), secondo la quale, attese le caratteristiche del procedimento di acquisto concretamente posto in essere (e cioè un affidamento sotto-soglia caratterizzato da modalità ulteriormente semplificate rispetto a quelle disciplinate in via ordinaria dal Codice dei contratti in ragione dell’emergenza sanitaria), l’amministrazione sarebbe stata libera di individuare il prodotto più rispondente alle proprie esigenze, dandone atto nel provvedimento finale.
Quindi, la mera procedimentalizzazione dell’affidamento diretto, mediante l’acquisizione di una pluralità di preventivi e l’indicazione di criteri per la selezione degli operatori (soprattutto se corrispondente alle previsioni contenute nelle Linee Guida n. 4 per tutti gli affidamenti diretti; si cfr. il par. 4.1.2 sull’avvio della procedura), non avrebbe trasformato l’affidamento diretto in una procedura “competitiva”, né abilitato i soggetti che non fossero stati selezionati a contestare le valutazioni effettuate dall’amministrazione circa la rispondenza dei prodotti offerti alle proprie esigenze.
In definitiva, secondo il Tribunale, il procedimento svolto e la valutazione posta in essere dal Politecnico di Milano sono risultati: “…pienamente coerenti [anche] con i principi descritti dall’art. 30 d.lgs. n. 50/2016, stante la pubblicità della procedura, la predeterminazione dei criteri valutativi, la completezza della motivazione in relazione alla tipologia di procedura espletata, che dava atto di come la scelta fosse stata basata sulla qualità delle prestazioni offerte, sulla rispondenza delle stesse alle esigenze della P.A., e sull’economicità del preventivo”.

La sentenza del Consiglio di Stato

Il Consiglio di Stato, per quanto di interesse, ha confermato la decisione del TAR.
Il Collegio ha ribadito come la procedura posta in essere fosse finalizzata a un affidamento diretto ai sensi del Decreto semplificazioni: “…le cui caratteristiche erano ben delineate dal disciplinare che, come rimarcato dal TAR, escludeva in radice la natura comparativa della valutazione. In tale prospettiva, la motivazione finale è del tutto adeguata e sufficiente, in quanto doveva limitarsi ad un giudizio di rispondenza dell’offerta alle esigenze dell’amministrazione”.
La tesi dell’appellante, secondo cui il Politecnico, una volta deciso: “…di aprire l’affidamento al mercato attraverso l’introduzione di regole improntate al confronto concorrenziale”, avrebbe dovuto farsi guidare dai principi generali dell’evidenza pubblica prestabilendo i criteri di valutazione delle offerte e valutare queste ultime in comparazione tra loro (redigendo apposita graduatoria), proverebbe, secondo il giudice d’appello, “troppo”.
La necessità (a detta dell’appellante) di considerare il procedimento in concreto posto in essere (al fine di ritenere applicabile, come accennato, la disciplina pertinente un vero e proprio confronto selettivo), non potrebbe sminuire, secondo il Consiglio di Stato, il dato derivante dalla disciplina dettata dalla P.A.: “…la procedura in concreto posta in essere, infatti, era proprio quella dell’affidamento diretto, ai sensi dell’art. 1, comma 2, lettera a), del decreto-legge n. 76 del 2020, come convertito, le cui caratteristiche erano ben delineate dal disciplinare che, come rimarcato dal TAR, escludeva in radice la natura comparativa della valutazione. In tale prospettiva, la motivazione finale è del tutto adeguata e sufficiente, in quanto doveva limitarsi ad un giudizio di rispondenza dell’offerta alle esigenze dell’amministrazione”.
In definitiva, ha completato il suo ragionamento il Collegio: “Deve qui ribadirsi che la mera procedimentalizzazione dell’affidamento diretto, mediante l’acquisizione di una pluralità di preventivi e l’indicazione dei criteri per la selezione degli operatori (secondo modalità che corrispondono alle previsioni contenute nelle Linee Guida ANAC n. 4 per gli affidamenti diretti), non trasforma l’affidamento diretto in una procedura di gara, né abilita i soggetti che non siano stati selezionati a contestare le valutazioni effettuate dall’amministrazione circa la rispondenza dei prodotti offerti alle proprie esigenze”.

Breve quadro ricostruttivo e considerazioni finali

Come illustrato, la circostanza per cui la stazione appaltante, nel bandire una “procedura semplificata”, abbia introdotto alcuni elementi procedurali presenti anche nelle gare formali, non determina ex se l’applicazione integrale delle regole previste, ad esempio, per la procedura aperta, per la procedura ristretta o per la procedura negoziata vera e propria, fatte salve le disposizioni che esprimono valori di fondo che permeano di sé l’ordinamento di settore (si cfr. TAR Veneto, sez. I, 13 giugno 2022, n. 981), principi che attualmente ritroviamo espressamente codificati negli artt. 1-11 d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36.
Come è stato correttamente evidenziato: “…laddove l’amministrazione introduce adempimenti ulteriori rispetto a quelli previsti per la procedura prescelta, non si applica di necessità l’intero compendio di norme dedicate alla procedura «superiore», ma solo quelle selettivamente richiamate, salvo che – ma questo renderebbe il più delle volte illegittima l’intera procedura – il «ritaglio» non sia, anche surrettiziamente, finalizzato ad eludere determinate norme o principi che informano di sé l’intera procedura (si pensi, ad esempio, ad una gara organizzata in modo tale da eludere l’obbligo di pubblicazione del bando)” (T.A.R. Marche, sez. I, 7 giugno 2021, n. 468).
Con specifico riferimento alla “procedimentalizzazione” dell’affidamento diretto, ancorché il confronto sia stato strutturato dalla stazione appaltante per ossequiare i principi generali di economicità, efficacia, tempestività, correttezza, libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, nonché di pubblicità (si v. art. 30, comma 1 d.lgs. n. 50/2016 e, oggi, artt. 1-3 e artt. 27-28 d.lgs. n. 36/2023), ciò non consente né di attrarre l’attività di individuazione del contraente nell’alveo di una procedura di gara, né di sottomettere tale attività ad adempimenti e oneri motivazionali tipicamente riferibili ai confronti competitivi.
L’obiettivo di semplificazione tipico delle procedure del sotto soglia (soprattutto dell’affidamento diretto), infatti, risulterebbe frustrato dall’introduzione di aggravamenti procedurali non necessari, sovrabbondanti rispetto alla tutela della concorrenza (comunque garantita dall’analisi dei preventivi e dall’onere di adeguata motivazione finale) e non rispettosi – oggi in particolare – del principio del risultato codificato nell’art. 1 d.lgs. n. 36/2023.
Con riferimento al Codice del 2023, l’affidamento diretto è, come noto, l’attribuzione di un contratto senza una procedura di gara, in cui, anche nel caso di previo interpello di più operatori economici, la scelta è operata discrezionalmente dalla stazione appaltante o dall’ente concedente nel rispetto dei criteri qualitativi e quantitativi di cui all’art. 50, comma 1, lett. a) e b) Codice e dei requisiti generali/speciali previsti dallo stesso (si v. all. I.1, art. 3, lett. d Codice del 2023).
La procedura per l’affidamento di tali contratti è stabilita al citato art. 50, comma 1, lett. a) e b), il quale prevede: “…le stazioni appaltanti procedono all’affidamento dei contratti di lavori, servizi e forniture di importo inferiore alle soglie di cui all’articolo 14 con le seguenti modalità:
a) affidamento diretto per lavori di importo inferiore a 150.000 euro, anche senza consultazione di più operatori economici, assicurando che siano scelti soggetti in possesso di documentate esperienze pregresse idonee all’esecuzione delle prestazioni contrattuali anche individuati tra gli iscritti in elenchi o albi istituiti dalla stazione appaltante;
b) affidamento diretto dei servizi e forniture, ivi compresi i servizi di ingegneria e architettura e l’attività di progettazione, di importo inferiore a 140.000 euro, anche senza consultazione di più operatori economici, assicurando che siano scelti soggetti in possesso di documentate esperienze pregresse idonee all’esecuzione delle prestazioni contrattuali, anche individuati tra gli iscritti in elenchi o albi istituiti dalla stazione appaltante”.
Nonostante la mancanza di un vero e proprio confronto competitivo, il Codice ha individuato un criterio intorno al quale deve ruotare la valutazione delle proposte degli operatori nell’ambito di un affidamento diretto (e su cui la P.A. potrà eventualmente strutturare anche una propria “griglia” di valutazione con relativi “pesi”, senza che ciò possa trasformare la natura del confronto). Esso è rappresentato dal possesso di documentate esperienze pregresse idonee all’esecuzione delle prestazioni contrattuali, criterio che, come si legge nella relazione illustrativa al Codice, è stato preferito a quello delle “esperienze analoghe” (indicato nel testo del d.l. n. 76/2020 da cui è stata ripresa la formulazione attuale della norma) per ampliare: “…il margine valutativo della stazione appaltante, che può apprezzare attività precedenti dell’operatore economico in ambiti anche non strettamente analoghi all’oggetto della gara ma tuttavia idonei a garantite la buona riuscita dell’affidamento” (pag. 74).
Solo per completezza, è necessario precisare che negli appalti di servizi alla persona, per gli affidamenti del sotto soglia di cui all’art. 14, comma 1, lett. d) (euro 750.000 per gli appalti di servizi sociali e assimilati elencati nell’allegato XIV alla direttiva 2014/24/UE), il Codice ha poi stabilito un principio “finalistico” dell’affidamento, il quale (a mio sommesso avviso) sembrerebbe mal conciliarsi con l’istituto dell’affidamento diretto qui analizzato (anche in ragione della necessità di dover rispettare, nella scelta del contraente, il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa: si v. art. 108), prediligendo maggiormente la procedura negoziata, in cui la stazione appaltante consulta gli operatori economici scelti e negozia con uno o più di essi le condizioni del contratto (all. I.1, art. 3, lett. h Codice del 2023).
Più in particolare, ai sensi dell’art. 128, comma 8: “Per l’affidamento e l’esecuzione di servizi alla persona di importo inferiore alla soglia di cui all’articolo 14, comma 1, lettera d), si applicano i principi ed i criteri di cui al comma 3 del presente articolo”. Questi devono garantire: “…la qualità, la continuità, l’accessibilità, la disponibilità e la completezza dei servizi, tenendo conto delle esigenze specifiche delle diverse categorie di utenti, compresi i gruppi svantaggiati e promuovendo il coinvolgimento e la responsabilizzazione degli utenti”.
Dunque, in tali casi, la valutazione della stazione appaltante – sempre connotata da un margine di discrezionalità – dovrà riscontrare non solo la qualità dell’offerta e il suo rilievo economico, ma anche l’interoperabilità della stessa con l’organizzazione delle attività stabilite dalla P.A., condividendone le finalità e l’approccio c.d. “tailor made”, in funzione delle peculiarità dell’utenza da servire.

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Il Consiglio di Stato offre un riepilogo dei criteri utili a definire e determinare sotto il profilo probatorio il danno da mancata aggiudicazione della gara alla luce dei principi giurisprudenziali affermatisi sul tema https://www.appaltiecontratti.it/il-consiglio-di-stato-offre-un-riepilogo-dei-criteri-utili-a-definire-e-determinare-sotto-il-profilo-probatorio-il-danno-da-mancata-aggiudicazione-della-gara-alla-luce-dei-principi-giurisprudenziali-a/ https://www.appaltiecontratti.it/il-consiglio-di-stato-offre-un-riepilogo-dei-criteri-utili-a-definire-e-determinare-sotto-il-profilo-probatorio-il-danno-da-mancata-aggiudicazione-della-gara-alla-luce-dei-principi-giurisprudenziali-a/#respond Mon, 04 Mar 2024 14:34:29 +0000 https://www.appaltiecontratti.it/?p=31054 I fatti di causa
La società ricorrente aveva chiesto l’accertamento della responsabilità di un Ente Locale per l’illegittima aggiudicazione ad altro operatore economico di un appalto la cui determina di aggiudicazione era già stata annullata con sentenza del TAR passata in giudicato; di qui la conseguente richiesta di condanna del Comune al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali patiti.
Più nel dettaglio, con la sentenza ormai passata in giudicato, venivano ritenute fondate le censure di ricorso relative alla illegittima ammissione dell’A.T.I. aggiudicataria, sia con riguardo alla mancata produzione in sede di gara dell’originale della polizza assicurativa inerente alla cauzione provvisoria, sia alla mancanza di alcune dichiarazioni da parte degli amministratori in carica nel triennio precedente.
Per l’effetto, parte ricorrente, dopo la pubblicazione della predetta sentenza, chiedeva al Comune di procedere all’affidamento dell’appalto in suo favore, ma ciò non avveniva, pertanto, chiedeva il risarcimento del danno patito.
A sostegno della pretesa veniva invocata la violazione degli artt. 2043 cod. civ. e 30 e 124 del cod. proc. amm., con richiesta di ristoro del lucro cessante, ossia dell’utile non percepito, quantificato in una somma pari al 15% dell’offerta, cui doveva aggiungersi il danno curriculare, da quantificare equitativamente in una misura compresa tra l’1 e il 5% dell’importo globale dell’appalto.
In primo grado, il ricorso veniva accolto essendo ritenuto sussistente il fatto lesivo, ossia l’evento pregiudizievole della sfera giuridica della società ricorrente, derivante da una attività amministrativa illegittima emergendo l’ingiustizia del danno arrecato alla ricorrente che, nella sua qualità di seconda classificata, avrebbe dovuto ottenere l’aggiudicazione però non conseguita.
Avverso la predetta pronuncia interponeva gravame il Comune fondandosi su due motivi di impugnazione: in primo luogo, l’error in iudicando nella parte in cui era stata riconosciuta la sussistenza dell’an del danno asseritamente subito, nonostante non fosse stata fornita prova a sostegno della pretesa risarcitoria, né con riferimento al mancato profitto, né con riferimento al danno curriculare; in secondo luogo e in via subordinata, l’error in iudicando per la erronea determinazione del quantum del danno asseritamente subito.
 
La decisione del Consiglio di Stato.
Il Supremo Consesso ha deciso di assumere in esame il primo motivo di impugnazione proposto dall’Ente Locale, ritenendolo fondato alla luce della sostanziale carenza di elementi probatori a supporto della domanda di risarcimento del danno e dell’utile eventualmente ritraibile dall’appalto non oggetto di aggiudicazione.
Il Consiglio di Stato, superando gli automatismi tipici conseguenti alla declaratoria di annullamento dell’aggiudicazione e al presunto danno che discenderebbe all’operatore economico che non abbia ottenuto l’aggiudicazione per fatto e colpa della Stazione Appaltante, ha enucleato dapprima quelli che risultano essere i consolidati strumenti di tutela posti in capo alla parte privata.
E, dunque, all’impresa pregiudicata è data la possibilità di scegliere: a) la “tutela in forma specifica”, a carattere integralmente satisfattorio, affidata alla “domanda di conseguire l’aggiudicazione e il contratto” (art. 124, comma 1, prima parte), il cui accoglimento, secondo l’insegnamento del Supremo Consesso, “: a1) postula, in negativo, la sterilizzazione ope judicis, in termini di “dichiarazione di inefficacia”, del contratto eventualmente già stipulato inter alios (essendo, per ovvie ragioni, preclusa la reduplicazione attributiva dell’unitario bene della vita gestito dalla procedura evidenziale); a2) richiede, in positivo, un apprezzamento di spettanza in termini di diritto al contratto, con la certezza che, in assenza del comportamento illegittimo serbato dalla stazione appaltante, il ricorrente si sarebbe senz’altro aggiudicato la commessa”; b) il “risarcimento del danno per equivalente” (art. 124, comma 1, seconda parte).
È chiaro che, nel caso di specie, la ricorrente aveva dovuto optare per tale ultima forma di tutela, essendo l’annullamento dell’aggiudicazione intervenuto quando i lavori erano stati ormai eseguiti dal primo aggiudicatario.
Di qui, dunque, l’imputazione di una responsabilità in capo alla stazione appaltante in conseguenza della mancata aggiudicazione al soggetto che, invero, avrebbe dovuto stipulare il contratto ed eseguire i lavori e la possibilità per quest’ultimo di ricevere un ristoro economico che, però, ai sensi dell’art. 124, comma 1, c.p.a. deve pur sempre inerire a un danno “subito e provato”.
Ciò implica l’onere del danneggiato di provare il danno sia sotto il profilo dell’an che del quantum, non potendosi ammettere alla tutela in forma specifica il concorrente che assuma di avere subito un danno ma che non alleghi coerentemente i presupposti del pregiudizio subito.
Con la conseguenza che per il Supremo Consesso, non spetterebbe in ipotesi il ristoro del danno emergente in quanto i costi di partecipazione dovrebbero restare a carico del concorrente (a meno che non provi una responsabilità precontrattuale della stazione appaltante); mentre risulterebbe dovuto il lucro cessante nella sua accezione di interesse positivo, ovvero di mancato profitto ricavato dalla esecuzione del contratto e di danno curriculare, inteso come perdita di possibilità di incrementare l’avviamento d’impresa o di ottenere qualificazioni e come danno al prestigio professionale.
Con l’ovvia considerazione che in ipotesi di totale assenza di prova sia in ordine all’an che al quantum del risarcimento e di indicazioni di parametri utili cui ancorare la richiesta, sotto il profilo probatorio, e la relativa stima, non si potrà dar seguito ad alcun riconoscimento economico.
Nel caso di specie, la doglianza rivolta dalla Stazione Appaltante in appello risiedeva appunto nella mancata allegazione agli atti di causa dell’offerta formulata dal concorrente che assumeva di avere subito il pregiudizio cui peraltro risultavano sostanzialmente ancorate le pretese inerenti al lucro cessante (15% della somma presuntivamente offerta) e danno curriculare (un importo tra l’1% e il 5% dell’importo globale dell’appalto).
Il Consiglio di Stato, facendo corretta applicazione del principio di diritto già enunciato dalla sentenza dello stesso Consiglio di Stato, n. 2435/2019 (pronuncia tra l’altro richiamata anche dal Giudice di prime cure), ha ribadito che “spetta all’impresa danneggiata offrire la prova dell’utile che in concreto avrebbe conseguito, qualora fosse risultata aggiudicataria dell’appalto, poiché nell’azione di responsabilità per danni il principio dispositivo opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell’azione di annullamento (ex art. 64, commi 1 e 3, c.p.a.)”, ravvisando pertanto l’errore commesso dal Collegio di prime cure il quale invece si era limitato ad apportare una riduzione sul quantum di risarcimento richiesto dalla parte.

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Con il ribasso sui costi della manodopera l’offerta non è esclusa ma assoggettata a verifica dell’anomalia https://www.appaltiecontratti.it/con-il-ribasso-sui-costi-della-manodopera-lofferta-non-e-esclusa-ma-assoggettata-a-verifica-dellanomalia/ https://www.appaltiecontratti.it/con-il-ribasso-sui-costi-della-manodopera-lofferta-non-e-esclusa-ma-assoggettata-a-verifica-dellanomalia/#respond Tue, 13 Feb 2024 07:01:10 +0000 https://www.appaltiecontratti.it/con-il-ribasso-sui-costi-della-manodopera-lofferta-non-e-esclusa-ma-assoggettata-a-verifica-dellanomalia/

Prologo

La libertà di iniziativa economica deve comprendere la facoltà dell’operatore economico di dimostrare che la più efficiente organizzazione aziendale impatta sui costi della manodopera, diminuendone l’importo rispetto a quello stimato dalla stazione appaltante nella disciplina di gara, slavo il rispetto dei trattamenti salariali minimi inderogabili.

In base al comma 14 dell’art. 41 del d.lgs. n. 36 del 2023, la conseguenza per l’operatore economico che applichi il ribasso anche ai costi della manodopera è, non l’esclusione dalla gara, ma l’assoggettamento della sua offerta alla verifica dell’anomalia: in quella sede l’operatore economico avrà l’onere di dimostrare che il ribasso deriva da una più efficiente organizzazione aziendale oltre il rispetto dei minimi salariali.

Lo stabilisce il Tribunale Amministrativo Regionale della Toscana sez. IV con la sentenza del 29 gennaio 2024, n. 120.

Il caso

Il caso di causa si riferisce ad una gara di servizi, e segnatamente al servizio di refezione scolastica.

La Stazione appaltante aveva indica nel prezzo a base d’asta anche i costi della manodopera, stabilendo la non assoggettabilità a ribasso degli stessi.

Tuttavia, l’impresa aggiudicataria, nonostante il divieto espresso, ha proposto in sede d’offerta un costo della manodopera ribassato rispetto al valore espresso dalla legge di gara.

Ma il giudice amministrativo ha validato la decisione della P.A. di non escludere l’offerta, sostenendo la generale ammissibilità nell’attuale ordinamento di ribassare il costo del lavoro.

Per il Tar Toscana, in definitiva, se, infatti, il legislatore avesse voluto considerare tali costi fissi e invariabili, non avrebbe avuto senso richiedere ai concorrenti di indicarne la misura nell’offerta economica, né avrebbe avuto senso includere anche i costi della manodopera tra gli elementi che possono concorrere a determinare l’anomalia dell’offerta.

La decisione

La sentenza del Tar Toscana si occupa della seguente questione: se i costi della manodopera sono assoggettabili a ribasso.

La risposta del giudice amministrativo è declinata partendo dal riferimento costituzionale alla libertà di iniziativa economica.

Tale libertà, ricorda la sentenza in esame, comprende la facoltà dell’operatore economico di dimostrare che la più efficiente organizzazione aziendale impatta sui costi del lavoro.

Pertanto, ad avviso del giudice amministrativo, il ribasso sui costi della manodopera non deve comportare l’esclusione dalla gara ma la verifica della congruità del costo specifico.

La decisione poggia sul seguente ragionamento:

l’art. 41, comma 14, del d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36, prevede che “nei contratti di lavoro e servizi, per determinare l’importo posto a base di gara, la stazione appaltante o l’ente concedente individua nei documenti di gara i costi della manodopera secondo quanto previsto dal comma 13. I costi della manodopera e della sicurezza sono scorporati dall’importo assoggettato a ribasso. Resta ferma la possibilità per l’operatore economico di dimostrare che il ribasso complessivo dell’importo deriva da una più efficiente organizzazione aziendale”.

Per il giudice amministrativo la norma deve essere coordinata con:

– l’articolo 108, comma 9, del d.lgs. n. 36 del 2023, che prescrive al concorrente di indicare nell’offerta economica, a pena di esclusione, i costi della manodopera, oltre agli oneri di sicurezza aziendali;

– l’art. 110, comma 1, del d.lgs. n. 36 del 2023, ai sensi del quale “Le stazioni appaltanti valutano la congruità, la serietà, la sostenibilità e la realizzabilità della migliore offerta, che in base a elementi specifici, inclusi i costi dichiarati ai sensi dell’articolo 108, comma 9, appaia anormalmente bassa. Il bando o l’avviso indicano gli elementi specifici ai fini della valutazione”.

Dalla lettura combinata delle predette disposizioni di legge se ne trae dunque che i costi della manodopera sono assoggettabili a ribasso, come è del resto precisato dall’ultimo periodo del comma 14, dell’art. 41 citato, secondo cui: “Resta ferma la possibilità per l’operatore economico di dimostrare che il ribasso complessivo dell’importo deriva da una più efficiente organizzazione aziendale”.

A supporto del proprio ragionamento il giudice amministrativo richiama poi il Consiglio di Stato, sez. V, 9 giugno 2023, n. 5665, laddove afferma che  è stata fatta salva la possibilità per l’operatore economico di dimostrare che un ribasso che coinvolga il costo della manodopera sia derivante da una più efficiente organizzazione aziendale.

Richiama altresì il parere n. 2154 del 19 luglio 2023 con il quale il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, rispondendo ad un quesito specifico sui costi della manodopera negli appalti, ha chiarito che l’offerta economica non è costituita solamente dal ribasso operato sull’importo al netto del costo della manodopera, ma deve includere quest’ultimo costo al suo interno; il costo della manodopera non può essere considerato un importo aggiuntivo ma fa parte dell’offerta ed è soggetto a verifica.

Infine la sentenza ha ripreso anche la delibera dell’ANAC ( n. 528 del 15 novembre 2023, ha chiarito che: “La lettura sistematica della prima parte dell’articolo 41, comma 14, del d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36, secondo il quale i costi della manodopera sono scorporati dall’importo assoggettato al ribasso, e della seconda parte della norma, che riconosce al concorrente la possibilità di dimostrare che il ribasso complessivo offerto deriva da una più efficiente organizzazione aziendale, induce a ritenere che il costo della manodopera, seppur quantificato e indicato separatamente negli atti di gara, rientri nell’importo complessivo a base di gara, su cui applicare il ribasso offerto dal concorrente per definire l’importo”.

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Va impugnato, e non può essere soltanto “disapplicato”, il bando contenente una clausola escludente in contrasto col diritto europeo https://www.appaltiecontratti.it/va-impugnato-e-non-puo-essere-soltanto-disapplicato-il-bando-contenente-una-clausola-escludente-in-contrasto-col-diritto-europeo/ https://www.appaltiecontratti.it/va-impugnato-e-non-puo-essere-soltanto-disapplicato-il-bando-contenente-una-clausola-escludente-in-contrasto-col-diritto-europeo/#respond Fri, 09 Feb 2024 06:56:32 +0000 https://www.appaltiecontratti.it/va-impugnato-e-non-puo-essere-soltanto-disapplicato-il-bando-contenente-una-clausola-escludente-in-contrasto-col-diritto-europeo/
Il bando di gara contenente una clausola escludente, ancorché riproduttiva di una norma interna in contrasto col diritto europeo, deve essere immediatamente impugnato nel termine di trenta giorni dalla sua pubblicazione.

A cura di Michele Di Michele

1. Premessa

Il Consiglio di Stato, Sez. V,(sentenza n. 321 del 10 gennaio 2024) ha enunciato il principio di diritto secondo cui il bando di gara contenente una clausola escludente, ancorché riproduttiva di una norma interna ritenuta dalla CGUE in contrasto col diritto europeo, deve essere immediatamente impugnato nel termine di trenta giorni dalla sua pubblicazione ai sensi dell’art. 120, comma 5, c.p.a. e non può, di contro, essere soltanto “disapplicato”.

2. Il caso di specie

La questione era sorta nell’ambito di una procedura di gara indetta dall’Agenzia del Demanio per l’affidamento di un accordo quadro, suddiviso in lotti, per interventi manutentivi, il cui disciplinare di gara, oltre a prevedere il divieto di partecipazione ai RTI o consorzi ordinari verticali o misti, richiedeva, a pena di esclusione, il possesso dei requisiti di qualificazione in misura maggioritaria per tutte le categorie di lavori in capo alla capogruppo mandataria.

Il raggruppamento ricorrente, risultato miglior offerente per il lotto di partecipazione, veniva escluso dal seggio di gara in quanto, in violazione delle previsioni del disciplinare sopra richiamate, era stato ritenuto di tipo misto nonché carente dei requisiti di qualificazione in misura maggioritaria in capo alla mandataria.

Avverso il provvedimento di esclusione veniva proposto ricorso avanti al competente Tar Puglia, ove veniva censurata

(i) quanto alla qualificazione del raggruppamento come di tipo misto, un vizio di errata qualificazione avendo ciascuna delle imprese in R.T.I. i requisiti di qualificazione per le categorie richieste (ed essendo invece irrilevante che la mandataria avesse assunto, per la fase di esecuzione, il 100% dei lavori ascrivibili ad una determinata categoria);

(ii) quanto al mancato possesso dei requisiti di qualificazione in misura maggioritaria in capo alla mandataria, l’illegittimità della clausola del disciplinare in quanto in contrasto con l’art. 63 della direttiva 2014/24/UE il quale, secondo la pronuncia della Corte di Giustizia UE n. 642/2020 (anteriore alla data di pubblicazione del bando), “osta ad una normativa nazionale secondo la quale l’impresa mandataria di un raggruppamento di operatori economici partecipante a una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico deve possedere i requisiti previsti nel bando di gara ed eseguire le prestazioni di tale appalto in misura maggioritaria“.

In particolare, quanto al secondo profilo di censura sopra richiamato, mediante cui il bando viene impugnato solo insieme all’atto applicativo (ossia l’esclusione dalla procedura dell’impresa ricorrente), si pone il problema di verificare in via preliminare la sussistenza (o meno) dell’onere di immediata impugnativa della lex di gara (relativamente alla clausola contestata).

2.1 La sentenza di primo grado.

Con sentenza n. 372 del 27 febbraio 2023, il Tar Puglia, Sez. II, accoglieva il ricorso evidenziando in primo luogo la natura orizzontale del raggruppamento giacché tanto la mandante quanto la mandataria erano in possesso della qualificazione per tutte le categorie richieste, mentre l’indicazione della quota di esecuzione dei lavori ascrivibili ad una determinata categoria, interamente da parte della mandataria, non varrebbe automaticamente a qualificare il raggruppamento quale misto tenuto conto della piena libertà riconosciuta alla imprese riunite di suddividere tra loro le quote di esecuzione dei lavori fermo il limite rappresentato dai requisiti di qualificazione posseduti dall’impresa associata.

Quanto al contestato mancato possesso dei requisiti di qualificazione in misura maggioritaria per tutte le categorie di lavori in capo alla mandataria, il Tar richiamava la sentenza della Corte di Giustizia UE, Sez. IV, del 28 aprile 2022, n. 642/20 che, in merito ad una controversia riferita proprio alle modalità di composizione di un raggruppamento aveva stabilito il principio per cui “l’articolo 63 della direttiva 2014/24 deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale secondo la quale l’impresa mandataria di un raggruppamento di operatori economici partecipante a una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico deve possedere i requisiti previsti nel bando di gara ed eseguire le prestazioni di tale appalto in misura maggioritaria“.

Per effetto della citata pronuncia della CGUE (anteriore all’indizione della gara), a giudizio del Tar adito, si impone la “disapplicazione” per incompatibilità col diritto europeo

  • non soltanto delle norme di legge primarie in contrasto con l’art. 63 della direttiva 2014/24/UE (e nello specifico dell’art. 83, comma 8 del D.Lgs. 50/2015 e dell’art. 92, comma 2 del d.P.R. 207/2010 nella parte in cui impongono che la mandataria in ogni caso deve possedere i requisiti ed eseguire le prestazioni in misura maggioritaria),
  • ma anche (ed è questo il punto centrale della vicenda giudiziaria) delle disposizioni della lex di gara che, facendo applicazione delle soprarichiamate norme di diritto interno, impongono il possesso dei requisiti in misura maggioritaria in capo alla mandataria.

2.2 La decisione del Consiglio di Stato.

L’Agenzia del Demanio proponeva appello denunciando l’inammissibilità del ricorso di primo grado per tardività in ragione della natura “immediatamente escludente” della clausola della lex di gara che imponeva il possesso dei requisiti in misura maggioritaria in capo alla mandataria.

Il bando di gara avrebbe dunque dovuto essere impugnato immediatamente e non (come invece avvenuto nella specie) solo col ricorso avverso l’esclusione (tanto più che la clausola in esame non si prestava ad ambiguità interpretative ed era quindi certamente impeditiva della partecipazione del RTI escluso).

Il Consiglio di Stato, con la pronuncia qui in commento, accoglieva l’appello sulla base delle seguenti argomentazioni.

In primo luogo (anche se non per ordine di esposizione), veniva meglio chiarita la portata conformativa e applicativa del principio di diritto sancito dalla Corte di Giustizia UE il quale appare delineabile nel senso che, se non è consentito al legislatore nazionale di imporre, in modo generalizzato ed astratto, un vincolo quantitativo alle modalità organizzative dei raggruppamenti di operatori economici in tutti gli appalti pubblici, per contro, a determinate condizioni, è consentita alla singola amministrazione aggiudicatrice la modulazione dei requisiti, sia pure qualitativa, tenuto conto dell’oggetto dell’appalto e delle prestazioni da affidare.

Va quindi escluso, a giudizio del Consiglio di Stato, un divieto assoluto, posto dal diritto dell’Unione, di modulare i requisiti nell’ambito di un raggruppamento in modo che ne risulti diversamente regolata la posizione della mandataria.

Piuttosto, chiarisce la sentenza qui in commento, la portata della sentenza della CGUE rende evidente come il tenore dell’art. 83, comma 8 del D.Lgs. 50/2016 vada inteso (non come “norma attributiva del potere“, bensì) come “norma regolativa del potere” dell’amministrazione aggiudicatrice alla cui discrezionalità è rimessa la specifica modulazione dei requisiti di partecipazione dei concorrenti plurisoggettivi. Discrezionalità che nel caso di specie sarebbe stata esercitata dall’amministrazione nella misura in cui, come rileva il Consiglio di Stato, “non si tratta all’evidenza dell’esclusione generalizzata di determinati concorrenti plurisoggettivi ma della modulazione dei requisiti di partecipazione rimessa alla discrezionalità della singola amministrazione aggiudicatrice…“.

Corollario essenziale di tale rilievo è che la previsione del disciplinare che richiedeva per la mandataria il possesso dei requisiti di partecipazione in misura maggioritaria, pur riproduttiva di una norma interna incompatibile con quella unionale, non è qualificabile alla stregua di una causa di esclusione atipica affetta da nullità ai sensi dell’art. 83, comma 8, del d.lgs. n. 50 del 2016.

Né potrebbe pervenirsi all’invocata qualificazione in termini di nullità della clausola del disciplinare in esame per carenza assoluta di potere per effetto della disapplicazione della norma che attribuisce il potere all’amministrazione: come si è detto, infatti, la norma interna contrastante con il diritto europeo (per come interpretata dalla sentenza della CGUE) si limita a disciplinare le modalità di esercizio del potere e non a fondare il potere medesimo, conseguendone che l’atto amministrativo adottato sulla base di essa non potrà ritenersi nullo per difetto assoluto di attribuzione.

La questione della tipologia di vizio da cui è affetto il bando si pone dunque (non in termini di nullità, bensì) in termini di illegittimità per violazione di legge, con conseguente annullabilità in via giurisdizionale ai sensi dell’art. 21 octies della legge n. 241/1990 (o, eventualmente, in via di autotutela).

Si tratta“, chiarisce il Consiglio di Stato, “di approdo interpretativo valido sia per la violazione c.d. diretta, prodotta cioè direttamente dal provvedimento amministrativo contrario al diritto dell’Unione, sia per la violazione c.d. indiretta, prodotta in via mediata dal provvedimento amministrativo conforme ad una norma di legge interna incompatibile con quel diritto, come nel caso di specie. In entrambi i casi il vizio è riconducibile alla violazione di legge in ragione della tendenziale unitarietà dei due ordinamenti, sia pure con la prevalenza di quello europeo sancita dagli artt. 11 e 117 della Costituzione“.

Chiarito quanto sopra, il Consiglio di Stato rileva la natura “immediatamente escludente” della clausola del disciplinare impugnata sulla base del “dato di fatto oggettivo“, sottolineato nei verbali di gara impugnati, che la mandataria non possedeva la qualificazione in misura maggioritaria in una delle categorie di lavori richieste (nella specie la categoria OG2).

Da qui, il rilievo della tardività del ricorso in quanto il bando non era stato impugnato nel termine di trenta giorni dalla sua pubblicazione ai sensi dell’art. 120, comma 5, c.p.a.

Sul punto, il Consiglio di Stato rileva inoltre che il termine decadenziale per la proposizione del ricorso non risulta in contrasto con la direttiva 21 dicembre 1989 89/665/CE (c.d. direttiva ricorsi), e non vi sono dunque i presupposti per la disapplicazione dell’art. 120, comma 5, c.p.a., in quanto tale termine “non è di per sé idoneo a rendere impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti (cfr. CGUE, IV, 14 febbraio 2019, C-54/18, in riferimento al termine di trenta giorni all’epoca fissato dall’art. 120, comma 2 bis, c.p.a.). Nel caso di specie, inoltre, la sentenza della Corte di Giustizia che rendeva, ad avviso del r.t.i. ricorrente, il bando di gara incompatibile col diritto dell’Unione europea era stata già pubblicata prima della pubblicazione del bando, di modo che, già alla data di quest’ultima, era stato affermato il contrasto col diritto dell’Unione dell’art. 83, comma 8, del d.lgs. n. 50 del 2016, nella parte in cui imponeva il possesso maggioritario dei requisiti in capo alla mandataria. Infine, come detto, l’interpretazione del bando di gara non si prestava ad equivoci di sorta, essendo stata per di più oggetto di chiarimenti inequivocabili dell’amministrazione“.

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3. Considerazioni conclusive

Come si è detto, con la sentenza del 28.04.2022 (C-642/20) la CGUE ha espunto dall’ordinamento interno il principio, adottato nel previgente codice appalti, per cui, per tutti gli appalti pubblici in Italia, in modo orizzontale e generalizzato, il mandatario del raggruppamento di operatori economici debba sempre essere qualificato ed eseguire la prestazione in misura maggioritaria.

Secondo l’ermeneusi della CGUE, infatti, se è vero che l’articolo 63, paragrafo 2, della direttiva 2014/24 consente alle amministrazioni aggiudicatrici di esigere, per gli appalti di servizi, che “taluni compiti essenziali” siano svolti da un partecipante al raggruppamento di operatori economici, nondimeno, si evince manifestamente che la volontà del legislatore dell’Unione, conformemente agli obiettivi di cui ai considerando 1 e 2 della medesima direttiva, consiste nel limitare ciò che può essere imposto a un singolo operatore di un raggruppamento, seguendo un approccio qualitativo e non meramente quantitativo, al fine di incoraggiare la partecipazione di raggruppamenti come le associazioni temporanee di piccole e medie imprese alle gare di appalto pubbliche.

In definitiva, “un requisito come quello enunciato all’articolo 83, comma 8, terzo periodo, del Codice dei contratti pubblici, che si estende alle «prestazioni in misura maggioritaria», contravviene a siffatto approccio, eccede i termini mirati impiegati all’articolo 63, paragrafo 2, della direttiva 2014/24 e pregiudica così la finalità, perseguita dalla normativa dell’Unione in materia, di aprire gli appalti pubblici alla concorrenza più ampia possibile e di facilitare l’accesso delle piccole e medie imprese (sentenza del 2 giugno 2016, Pizzo, C27/15, EU:C:2016:404, punto 27)”.

L’art. 68 comma 11 del nuovo codice (D.Lgs. 36/2023) recependo le indicazioni della CGUE, ha previsto che i requisiti di capacità economico-finanziaria e/o tecnico-professionale devono essere posseduti complessivamente dal raggruppamento, ferma restando la necessità che l’esecutore sia in possesso dei requisiti prescritti per la prestazione che lo stesso si è impegnato a realizzare.

Pertanto, il nuovo codice, mantenendo la necessaria corrispondenza tra le quote di esecuzione e quelle di qualificazione, se da un lato apre ai raggruppamenti favorendo la partecipazione in forma aggregata alle procedure di appalto, dall’altro, conferma la necessità – nell’interesse della stazione appaltante – a che le prestazioni affidate vengano eseguite dagli operatori economici in possesso dei relativi requisiti.

Ai sensi del comma 4 del citato art. 68 del nuovo codice, resta peraltro ferma la possibilità per la stazione appaltante di specificare nei documenti di gara le modalità con cui i raggruppamenti ottemperano ai requisiti di capacità economico- finanziaria e/o tecnico-professionale, “purché ciò sia proporzionato e giustificato da motivazioni obiettive” (specificazione ripresa anche dal Bando Tipo ANAC n. 1/2023).

È dunque richiesto che eventuali modulazioni dei requisiti di partecipazione dei raggruppamenti siano rigorosamente motivate dalla Stazione appaltante.

La modulazione qualitativa (e non meramente quantitativa) dei requisiti del raggruppamento (che, all’indomani della pronuncia della CGUE, era richiesta anche nelle procedure di gara rette dal previgente codice appalti), non sembra tuttavia, a parere di chi scrive, esservi stata nel caso in esame.

A ben vedere, infatti, la richiesta formulata dall’Agenzia del Demanio di possesso in misura maggioritaria dei requisiti in capo alla mandataria appare, nella sua sostanza, meramente riproduttiva della generale prescrizione di cui all’art. 83, comma 8, non essendo state individuate specifiche prestazioni per le quali è richiesta la qualificazione (ed esecuzione) in misura maggioritaria in capo alla mandataria, richiedendosi, di contro, il rispetto di tale requisito maggioritario in relazione a tutte (ed indiscriminatamente) le categorie di lavorazioni in cui si articolano gli interventi richiesti dall’accordo quadro messo a gara.

Tale configurazione della clausola lascerebbe dunque propendere per una sua qualificazione alla stregua di una causa di esclusione atipica, affetta da nullità ai sensi dell’ultimo periodo dell’art. 83, comma 8 del D.Lgs. 50/2016.

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Subappalto e lavorazioni scorporabili a qualificazione obbligatoria o non obbligatoria: il superamento della distinzione nel nuovo Codice degli appalti https://www.appaltiecontratti.it/subappalto-e-lavorazioni-scorporabili-a-qualificazione-obbligatoria-o-non-obbligatoria-il-superamento-della-distinzione-nel-nuovo-codice-degli-appalti/ https://www.appaltiecontratti.it/subappalto-e-lavorazioni-scorporabili-a-qualificazione-obbligatoria-o-non-obbligatoria-il-superamento-della-distinzione-nel-nuovo-codice-degli-appalti/#respond Thu, 08 Feb 2024 09:22:12 +0000 https://www.appaltiecontratti.it/subappalto-e-lavorazioni-scorporabili-a-qualificazione-obbligatoria-o-non-obbligatoria-il-superamento-della-distinzione-nel-nuovo-codice-degli-appalti/
Lavori pubblici – qualificazione degli esecutori di lavori pubblici – subappalto – art. 119 d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36 – artt. 2 e 30 (allegato II.12) d.lgs. n. 36/2023 – art. 12 d.l. 28 marzo 2014, n. 47 – opere scorporabili – qualificazione obbligatoria – qualificazione non obbligatoria – superamento della distinzione

Tar Piemonte, sez. II, 16 gennaio 2024, n. 23

L’art. 12 d.l. n. 47/2014 – norma non abrogata dal nuovo Codice – in un’ottica concorrenziale consente all’operatore economico, in possesso della qualificazione per la categoria prevalente, di partecipare alle gare per l’affidamento di lavori pubblici, anche se privo delle qualificazioni previste dal bando per le categorie scorporabili, alla condizione, però, che affidi le lavorazioni riconducibili alle predette categorie, se a qualificazione obbligatoria, a imprese in possesso delle necessarie qualificazioni.

In base alle prime indicazioni giurisprudenziali in tema di qualificazione degli esecutori di lavori pubblici, il superamento, nell’impianto del nuovo Codice dei contratti, della distinzione tra categorie di lavorazioni a qualificazione “obbligatoria” e “non obbligatoria” avrebbe l’effetto di connotare indistintamente tutte le opere scorporabili della natura di lavorazioni a qualificazione obbligatoria.

Il caso di specie

La Provincia di Novara, nel 2023, bandiva una procedura aperta – nell’ambito degli interventi PNRR – per l’affidamento della progettazione esecutiva e l’esecuzione di lavori straordinari di manutenzione (riqualificazione energetica, miglioramento sismico e messa in sicurezza) di un edificio ospitante il liceo classico e linguistico di Novara.

Alla procedura, da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, partecipavano tre concorrenti (oltre ai professionisti indicati per l’attività progettuale), uno dei quali (che poi ricorrerà al TAR) in forma di costituendo RTI misto.

In corso di gara, la stazione appaltante, con riferimento a tale operatore economico, sollecitava alcune integrazioni istruttorie e, in particolare, per quanto di interesse, rilevava delle incertezze riguardo la suddivisione delle lavorazioni tra le singole imprese appartenenti all’RTI.

Segnatamente, per la categoria scorporabile OG9 (impianti per la produzione di energia elettrica), la committenza evidenziava che la qualificazione non risultava posseduta da nessuno dei componenti del raggruppamento, risultando in conseguenza non chiaro come la prestazione sarebbe stata eseguita.

Successivamente al riscontro del concorrente, il quale assumeva la possibilità di ricomprendere la categoria scorporabile OG9 all’interno del valore – considerato anche l’incremento del quinto – della qualificazione posseduta dal raggruppamento nella categoria prevalente OS7 (manifestando pure la volontà di subappaltare la OG9), la stazione appaltante, con successivo provvedimento, escludeva il costituendo RTI dalla gara.

In particolare, sul tema della dimostrazione del possesso dei requisiti di qualificazione, tenuto conto di quanto stabilito dall’art. 30 dell’allegato II.12 Codice del 2023, l’Amministrazione riteneva non soddisfatti i requisiti richiesti dalla lex specialis. Da qui, il provvedimento espulsivo, in cui, per la verità, la S.A. constatava pure la violazione di un’ulteriore norma del disciplinare, relativa alla copertura assicurativa dal rischio professionale dei progettisti.

Di seguito all’istanza dell’RTI di annullamento del provvedimento in autotutela (respinta dalla P.A.) e all’aggiudicazione della gara ad altro operatore, il concorrente escluso proponeva, infine, impugnazione al TAR.

Per quanto di interesse, la parte, assumendo la titolarità della qualificazione nella categoria prevalente OS7 in una classifica tale da ricomprendere (per incremento del quinto) anche le categorie scorporabili e di aver indicato, sia nel “Documento di gara unico europeo” (DGUE) sia in sede di soccorso istruttorio, la volontà di subappaltare le opere per la categoria OG9, deduceva la conseguente illegittimità dell’esclusione e, in subordine, della legge di gara, per violazione dell’art. 30 dell’allegato II.12 d.lgs. n. 36/2023.

La decisione del TAR

Il TAR, nel respingere il ricorso, sul tema del possesso dei requisiti di qualificazione, ha ritenuto innanzitutto non provata la circostanza che il raggruppamento fosse titolare, nel suo insieme, di una qualificazione per la categoria prevalente OS7 per una classe di importo tale da coprire, anche in virtù dell’incremento del quinto (si v. art. 2, comma 2, allegato II.12 d.lgs. n. 39/2023), le opere scorporabili (categorie OG9 e OS21), rispetto alle quali nessuna delle imprese associate (tre in tutto) possedeva le necessarie attestazioni.

In concreto, come da legge di gara, la somma degli importi per la categoria prevalente e le due scorporabili dava un totale di circa 3.400.000 euro.

La mandataria, per la categoria OS7, possedeva una qualificazione in classe II (fino a 516.000 euro). Una delle mandanti, di cui ci si serviva tramite avvalimento, possedeva invece una classe III (fino a 1.033.000 euro). Sarebbe servita anche la qualificazione dell’altra mandante (da utilizzare sempre tramite avvalimento), la quale, a tal proposito, avrebbe enunciato, per la OS7, il possesso di una categoria III bis (e cioè fino a 1.500.000 euro).

Sennonché, ha chiarito il TAR, di quest’ultima non risultavano prodotti in gara né il DGUE o le attestazioni SOA, ma solo un documento di presentazione della società estratto dal sito internet aziendale.

Tale documento, ha evidenziato il Giudice: “…non costituisce adeguato mezzo probatorio, in assenza di elementi dai quali possa ricavarsi, in modo univoco, la perdurante efficacia, al momento di partecipazione alla gara, delle attestazioni indicate o, comunque, la concordanza tra quanto ivi unilateralmente affermato e l’effettivo regime di qualificazione imputabile all’impresa.

Né all’inosservanza dell’onere probatorio può sopperire in specie il temperamento del metodo acquisitivo, venendo in rilievo un elemento di conoscenza che, per il criterio di vicinanza della prova, ricade senz’altro nella sfera di disponibilità della stessa parte ricorrente e che, di conseguenza, era suo onere allegare.

Neppure è invocabile, per altro verso, il principio di non contestazione ex art. 115 comma 1 c.p.c. stante, anzi, la puntuale eccezione della stazione appaltante sul difetto di giustificazioni a supporto dell’assunto ricorsuale”.

Quindi, la dedotta qualificazione del raggruppamento per la categoria OS7, per una classe d’importo sufficiente a coprire anche le categorie scorporabili (tramite incremento del quinto), è restata sguarnita di prova (in realtà, a ben guardare, le attestazioni efficaci non coprivano neppure la categoria prevalente essendo la stessa, da bando, pari a quasi 1.900.000 euro).

Ma, ha aggiunto il TAR: “…anche a voler ritenere dimostrato il requisito dell’adeguata qualificazione del raggruppamento per la categoria prevalente, il provvedimento espulsivo risulta, comunque, immune da censura” e ciò perché, come si dirà tra un attimo, il Tribunale non ha considerato rispettato il dovere di subappaltare le categorie scorporabili a qualificazione obbligatoria (segnatamente, la categoria OG9).

Il ragionamento del Giudice parte dal quadro normativo di riferimento.

Attualmente, in base alla formulazione dell’art. 30, comma 1, allegato II.12 Codice del 2023 (analogamente a quanto già stabilito dal precedente art. 92 D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207), il concorrente singolo può partecipare a una gara per l’affidamento di un contratto pubblico (di lavori) qualora sia in possesso dei requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi relativi alla categoria prevalente per l’importo totale dei lavori, ovvero, sia in possesso dei requisiti relativi alla categoria prevalente e alle categorie scorporabili per i singoli importi (i requisiti relativi alle categorie scorporabili non posseduti dall’impresa devono da questa essere posseduti con riferimento alla categoria prevalente). Il comma 2 precisa che, per i raggruppamenti temporanei di imprese, le quote di partecipazione possono essere liberamente stabilite entro i limiti consentiti dai requisiti di qualificazione posseduti dall’associato o dal consorziato. I lavori, poi, sono eseguiti dai concorrenti riuniti, secondo le quote indicate in sede di offerta, fatta salva la facoltà di modifica delle stesse (previa autorizzazione della stazione appaltante che ne verifica la compatibilità con i requisiti di qualificazione posseduti dalle imprese interessate).

Questa norma, secondo il TAR, deve essere letta alla luce dell’art. 12 d.l. n. 47/2014, il quale consente all’operatore economico, in possesso della qualificazione per la categoria prevalente, di partecipare alle gare per l’affidamento di lavori pubblici, anche se privo delle qualificazioni previste dal bando per le categorie scorporabili, alla condizione, però, che affidi le lavorazioni riconducibili alle predette categorie, se a qualificazione obbligatoria, a imprese in possesso dei previsti requisiti.

Questa disposizione (art. 12 d.l. n. 47/2014), secondo il Giudice di prime cure, non sarebbe stata abrogata dal nuovo Codice dei contratti. Anzi, in base ai primi pronunciamenti della giurisprudenza: “…il superamento, nell’impianto del nuovo codice dei contratti pubblici, della distinzione tra categorie di lavorazioni a qualificazione «obbligatoria» e «non obbligatoria», avrebbe piuttosto l’effetto di connotare indistintamente tutte le opere scorporabili della natura di lavorazioni a qualificazione obbligatoria (si cfr. TAR Calabria, Reggio Calabria, sez. I, 26 ottobre 2023, n. 782)”.

Considerata la differenza tra subappalto c.d. necessario (o qualificatorio) e modello “classico” (con il primo che è espressione non di autonomia organizzativa ma di imposizione determinata dalla circostanza che il concorrente non possiede la qualifica per eseguire tutte le lavorazioni), la necessità di manifestare in modo esplicito e incontrovertibile la volontà di applicare il subappalto appare, allora, questione non meramente “nominalistica”.

Ebbene, fin dal soccorso istruttorio, la P.A. aveva sollecitato parte ricorrente a spiegare le modalità di esecuzione delle opere, nel difetto della occorrente qualificazione. La constatata incoerenza delle dichiarate quote di partecipazione ed esecuzione del raggruppamento, in uno con la contestuale carenza di univoca volontà di ricorso al subappalto qualificatorio (nonostante il mancato possesso dei requisiti per i lavori della categoria OG9), ha reso la domanda di partecipazione del costituendo RTI non in linea con le predette coordinate normative e giurisprudenziali, provocando (aggiunge il sottoscritto) una non sanabile incertezza riguardo la capacità dell’operatore economico di far fronte alle obbligazioni derivanti dall’appalto.

Di conseguenza, la motivazione dell’esclusione, incentrata sul richiamo all’art. 30, allegato II.12 d.lgs. n. 36/2023, è risultata legittima: “…anche sotto i contestati profili dell’adeguatezza d’istruttoria e motivazione”.

In definitiva, conclude il Giudice: “…anche per il principio di autoresponsabilità dei concorrenti, in forza del quale ogni operatore economico deve sopportare le conseguenze di eventuali errori commessi nella presentazione della documentazione dell’offerta, il motivo di doglianza risulta infondato”.

Breve quadro ricostruttivo

Come noto, la “qualificazione” degli operatori economici consiste, in generale, nell’accertamento (essenzialmente professionale/tecnico/finanziario) dell’idoneità di un soggetto a realizzare una determinata opera pubblica. Ciò permette di contemperare due valori costituzionali: l’art. 97, che prevede il principio di buon andamento dell’agire amministrativo, e l’art. 41, il quale definisce “libera” l’iniziativa economica privata, seppur ancorata al rispetto di valori come la sicurezza, la libertà, la dignità umana (l’iniziativa economica privata, inoltre, deve essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali).

Due sono i modi per accertare la “competenza” dell’operatore economico: l’accertamento demandato al committente in sede di gara; l’accertamento da parte di un soggetto terzo rispetto al committente.

Nei lavori pubblici (diverso è il caso di servizi e forniture), la qualificazione, fin dal 1895 (con il capitolato generale approvato con D.M. 28 maggio 1895: art. 2), è soggetta a regolamentazione.

Negli anni Sessanta, con la legge 10 febbraio 1962, n. 57, fu a tal proposito creato l’Albo Nazionale dei Costruttori (ANC). Il sistema, allora, si incentrava su di un controllo pubblico (attraverso un comitato centrale e comitati regionali) delle esperienze maturate dalle imprese, dalle quali potevano desumersi le capacità pertinenti il lavoro da realizzare (artt. 12-15). Con questa legge, per la prima volta, si stabilivano i requisiti attinenti i lavori analoghi già svolti, la capacità economica e finanziaria, i mezzi tecnici in possesso dell’impresa e il personale di cui si poteva disporre (la capacità tecnica era dimostrata: “…mediante titoli di studio, certificati rilasciati o confermati da funzionari tecnici in attività di servizio riferentesi a lavori eseguiti o diretti dal richiedente e da ogni altro documento”, mentre quella finanziaria poteva desumersi: “…da idonee referenze bancarie o da documenti che validamente comprovino la potenzialità economica e finanziaria dell’interessato”).

Con l’avvento della disciplina comunitaria degli anni Settanta (direttive 71/304/CEE e 71/305/CEE: la prima di tali direttive comportava, a carico degli Stati membri, l’obbligo generale di sopprimere le restrizioni all’accesso, alla partecipazione e all’esecuzione di appalti di lavori pubblici e la seconda direttiva riguardava il coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici), il sistema all’epoca in vigore iniziò a mostrare i primi segnali di crisi, soprattutto per la discrasia con le norme comunitarie. In particolare, le disposizioni europee non prevedevano una qualificazione “accentrata”, ma solo quella compiuta da ogni amministrazione, comprensiva del potere discrezionale di decidere quali fossero i requisiti per lo specifico appalto (si v., in particolare, artt. 2 e 20 direttiva 71/305/CEE).

Con la successiva legge quadro in materia di lavori pubblici (legge 11 febbraio 1994, n. 109, attuata in merito dal D.P.R. 25 gennaio 2000, n. 34), già depotenziata con la legge 8 agosto 1977,  n. 584 la portata del certificato rilasciato dall’ANC, l’Albo in questione fu definitivamente abolito.

Ciò in favore di un meccanismo, ancora oggi esistente, basato su di un sistema accreditato di soggetti specializzati nella verifica dei requisiti in capo a coloro che intendevano partecipare alle gare per l’affidamento di lavori pubblici (e cioè le c.d. “SOA”, società organismo di attestazione: si v. in particolare artt. 4 e 8 della legge del 1994).

Tali operatori (privati), svolgendo funzioni di natura pubblicistica improntate al necessario rispetto del principio di indipendenza di giudizio, avevano (e hanno) il compito di certificare il possesso dei “requisiti generali” e “speciali” (attualmente, si v. artt. 94-100), oltre all’esistenza (soprattutto a partire dal d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163) di sistemi di qualità conformi alle norme europee e alla disciplina nazionale e del rating di impresa (con riferimento al nuovo Codice, si cfr. artt. 109 e 222).

La disciplina della qualificazione, infine, si è “sedimentata” con il D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207 – nato come regolamento di esecuzione e attuazione del Codice del 2006 e rimasto in vigore anche dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 50/2016 (con gli adattamenti formali e sostanziali resisi necessari per raccordare la norma alla disciplina primaria) – le cui norme (artt. 60-104) sono state riprodotte in larga parte nell’allegato II.12 Codice del 2023, il quale attua l’art. 100, comma 4.

Della complessa disciplina in tema di qualificazione per l’esecuzione di lavori pubblici, il profilo delle categorie di lavorazioni (con la relativa suddivisione in generali, speciali e, fino al 30 giugno 2023, “super speciali” o “SIOS”) costituisce un aspetto specifico oggi regolato nella tabella A dell’allegato II.12 Codice 2023.

Per le categorie di opere generali (OG), la tabella in vigore stabilisce: “…la qualificazione […] è conseguita dimostrando capacità di svolgere in proprio o con qualsiasi altro mezzo l’attività di costruzione, ristrutturazione e manutenzione di opere o interventi per la cui realizzazione, finiti in ogni loro parte e pronti all’uso da parte dell’utilizzatore finale, siano necessarie una pluralità di specifiche lavorazioni. La qualificazione presuppone effettiva capacità operativa e organizzativa  dei fattori produttivi, specifica competenza nel coordinamento tecnico delle attività lavorative, nella gestione economico-finanziaria e nella conoscenza di tutte le regole tecniche e amministrative che disciplinano l’esecuzione di lavori pubblici. Ciascuna categoria di opere generali individua attività non ricomprese nelle altre categorie generali”.

Per le categorie speciali “OS” (quelle super speciali, verosimilmente, non dovrebbero essere più vigenti), invece, il Codice prevede: “…La qualificazione […] è conseguita dimostrando capacità di eseguire in proprio l’attività di esecuzione, ristrutturazione e manutenzione di specifiche lavorazioni che costituiscono di norma parte del processo realizzativo di un’opera o di un intervento e necessitano di una particolare specializzazione e professionalità. La qualificazione presuppone effettiva capacità operativa e organizzativa dei fattori produttivi necessari alla completa esecuzione della lavorazione e il possesso di tutte le specifiche abilitazioni tecniche e amministrative previste dalle vigenti norme legislative e regolamentari”.

Altra questione riguarda il tema delle categorie c.d. a qualificazione obbligatoria (si v. il previgente art. 109, comma 2 D.P.R. n. 207/2010 e art. 12 d.l. 28 marzo 2014, n. 47) e cioè quelle corrispondenti a lavori che non possono essere eseguiti direttamente dall’affidatario in possesso della qualificazione per la sola “categoria prevalente”, se privo delle relative specifiche competenze tecniche (la categoria prevalente di lavori, generale o specializzata, corrisponde a quella di importo più elevato fra le categorie costituenti l’intervento: art. 3, comma 1, lett. oo-bis d.lgs. n. 50/2016; il Codice attuale, per la verità, non reca alcuna definizione in tal senso, anche se l’art. 30, allegato II.12, cit. riprende il concetto per stabilire quali sono i soggetti abilitati ad assumere i lavori; su tali profili, si v. pure art. 31, allegato I.7).

Su questo aspetto, come segnalato in altri commenti (si v. la nota del sottoscritto “Categorie «superspecialistiche» e qualificazione obbligatoria: il caso della OS32”), dal 1° luglio 2023 sono efficaci le nuove norme in tema di qualificazione degli operatori economici.

In particolare, l’art. 100, comma 4 Codice, dedicato ai requisiti di ammissione per i lavori pubblici, rimanda all’allegato II.12 la definizione della disciplina pertinente tale sistema, la quale, una volta adottato il regolamento che sostituirà l’allegato II.12, sarà estesa anche a servizi e forniture (art. 100, comma 10).

La distinzione tra categorie a qualificazione obbligatoria e non obbligatoria, come appena accennato, non è più presente nell’allegato suddetto (né nella tabella A in questo riportata). Allo stesso modo, nulla si chiarisce in merito alle categorie di opere relative a lavori o componenti di notevole contenuto tecnologico o rilevante complessità tecnica (SIOS), comunque contemplate dalla riforma (art. 104, comma 11) e in relazione alle quali (così come per le categorie a qualificazione obbligatoria/non obbligatoria) risulterebbe ancora valido l’art. 12 d.l. n. 47/2014, il quale non è stato espressamente abrogato dal d.lgs. n. 36/2023 (a meno di non considerare l’intervenuta abrogazione per incompatibilità o per nuova disciplina dell’intera materia: art. 15 disp. sulla legge in generale del codice civile).

In ogni caso, all’art. 30 dell’allegato II.12 si ritrova il contenuto dell’art. 92, comma 1 D.P.R. n. 207/2010, secondo cui: “Il concorrente singolo può partecipare alla gara qualora sia in possesso dei requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi relativi alla categoria prevalente per l’importo totale dei lavori ovvero sia in possesso dei requisiti relativi alla categoria prevalente e alle categorie scorporabili per i singoli importi. I requisiti relativi alle categorie scorporabili non posseduti dall’impresa devono da questa essere posseduti con riferimento alla categoria prevalente”.

L’attestazione di qualificazione – rilasciata a norma dell’allegato II.12 – costituisce sempre la condizione necessaria e sufficiente per la dimostrazione dell’esistenza dei requisiti di capacità tecnica e finanziaria ai fini dell’affidamento di lavori pubblici (in tal senso, art. 1, comma 2 allegato II.12). Inoltre: “La qualificazione in una categoria abilita l’operatore economico a partecipare alle gare e a eseguire i lavori nei limiti della propria classifica incrementata di un quinto” (art. 2, comma 2 allegato, cit.; si v. già art. 61, comma 2 D.P.R. n. 207/2010).

Considerazioni finali

Con la nuova disciplina relativa alla qualificazione degli operatori economici introdotta dal d.lgs. n. 36/2023 e nell’attuale vigenza dell’art. 12 d.l. n. 47/2014, si può affermare (lo si evidenzia nella sentenza in esame, oltreché nel citato precedente TAR Calabria, Reggio Calabria, sez. I, n. 782/2023; si cfr. pure TAR Piemonte, sez. II, 16 gennaio 2024, n. 23) che tutte le categorie di opere scorporabili, sia generali che specializzate, dal 1° luglio 2023, devono considerarsi a qualificazione obbligatoria.

Quindi, l’aggiudicatario, per eseguirle, dovrà essere in possesso della relativa attestazione SOA, oppure dovrà necessariamente ricorrere al subappalto (in tal senso, sempre “necessario” o “qualificatorio” e pertanto finalizzato a impiegare un subappaltatore per svolgere una o più prestazioni dedotte nell’appalto secondo lo schema tipico dell’art. 119 d.lgs. n. 36/2023: per una ricognizione della giurisprudenza in materia, si v. TAR Lazio, Roma, sez. IV, 24 gennaio 2024, n. 1405; Id., 12 ottobre 2023, n. 15165).

Più precisamente, ha chiarito il TAR Calabria nella sentenza n. 782, cit., tale interpretazione: “…oltre a configurare un esito rassicurante del quadro normativo in tema di qualificazione degli operatori economici, ha il pregio di armonizzarsi con l’art. 2, comma 2 del citato allegato II.12, laddove prescrive che «La qualificazione in una categoria abilita l’operatore economico a partecipare alle gare e a eseguire i lavori nei limiti della propria classifica incrementata di un quinto», il che fa dedurre che per «eseguire i lavori» è necessario essere in possesso di adeguata qualificazione”.

L’art. 119 sul subappalto, per completezza, non affronta il tema del subappalto necessario. Ciò in quanto, come evidenziato nella relazione al Codice (pag. 170), quest’ultimo è: “…eccentrico rispetto alla causa del contratto di subappalto quale delineata nel comma 2 [il subappalto è il contratto con il quale l’appaltatore affida a terzi l’esecuzione di parte delle prestazioni o lavorazioni oggetto del contratto di appalto, con organizzazione di mezzi e rischi a carico del subappaltatore]. La questione dell’ammissibilità del subappalto per l’esecuzione dei lavori riguardanti le categorie scorporabili a qualificazione obbligatoria – attualmente desumibile dalla perdurante vigenza dell’art. 12, comma 14, del decreto legge 28 marzo 2014, n. 47, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2014, n. 80 – attiene alla qualificazione degli operatori economici, di cui, in particolare, all’art. 100”.

La soluzione prospettata dalla giurisprudenza è certamente condivisibile, anche perché ha il pregio di rendere più “stringenti” i criteri di partecipazione alle gare pubbliche, contribuendo così a innalzare la qualità degli esecutori di lavori pubblici.

Tuttavia, viene in evidenzia (a mio sommesso avviso) un profilo. Se, in effetti, tutte le categorie di opere scorporabili devono considerarsi a qualificazione obbligatoria, allora, sarà ancora possibile consentire la partecipazione alle gare ai concorrenti (solo) in possesso dei requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi: “…relativi alla categoria prevalente per l’importo totale dei lavori” (ammessa in funzione di quanto stabilito dal comma 1 dell’art. 30, allegato II.12, cit. e già consentita in ragione del disposto dell’art. 92, comma 1 D.P.R. n. 207/2010) ?

Il considerare tutte le categorie scorporabili a qualificazione obbligatoria, in altre parole, non rischia di mettere “fuori gioco” la principale regola di “abilitazione” ad assumere lavori, e cioè quella appena illustrata, che vale per ogni tipo di concorrente a prescindere dalla forma rivestita ?

Il dubbio è legittimo, anche se a queste domande, a dire il vero, potrebbe essere data pure una risposta negativa.

Infatti, se si considera l’assetto previgente e la giurisprudenza che si è formata con riferimento agli artt. 92 e 109 D.P.R. n. 207/2010 (si cfr. TAR Sardegna, sez. I, 3 marzo 2014, n. 1969 e Cons. Stato, sez. V, 25 luglio 2013, n. 3963), non è inesatto sostenere come l’indirizzo giurisprudenziale analizzato non incida direttamente sul tema dell’abilitazione ad assumere i lavori, ma solo sul versante prettamente esecutivo della prestazione dedotta nel bando. Se l’assunto è corretto, allora, la tesi illustrata nella sentenza non incide sulla regola stabilita dall’art. 30, cit. e l’operatore economico in possesso dei requisiti della categoria prevalente (per l’importo totale dei lavori) potrà continuare a partecipare alle gare (essendo “abilitato” ad assumere i lavori), solo che sarà sempre obbligato, in fase esecutiva, a subappaltare (tramite subappalto qualificatorio) tutte le categorie scorporabili di cui fosse sprovvisto di attestazione.

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Sopralluogo obbligatorio e automatismo espulsivo in caso di mancata effettuazione: l’ANAC chiede agli stakeholder di far sentire la propria «voce» https://www.appaltiecontratti.it/sopralluogo-obbligatorio-e-automatismo-espulsivo-in-caso-di-mancata-effettuazione-lanac-chiede-agli-stakeholder-di-far-sentire-la-propria-voce/ https://www.appaltiecontratti.it/sopralluogo-obbligatorio-e-automatismo-espulsivo-in-caso-di-mancata-effettuazione-lanac-chiede-agli-stakeholder-di-far-sentire-la-propria-voce/#respond Mon, 05 Feb 2024 14:53:04 +0000 https://www.appaltiecontratti.it/sopralluogo-obbligatorio-e-automatismo-espulsivo-in-caso-di-mancata-effettuazione-lanac-chiede-agli-stakeholder-di-far-sentire-la-propria-voce/
La pubblicazione – in data 22 gennaio u.s. – dello Schema di bando tipo n. 2/2023, recante «Procedura aperta per l’affidamento di contratti pubblici di servizi di architettura e ingegneria di importo pari o superiore alle soglie di rilevanza europea di cui all’articolo 14 del decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36 con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo», ha confermato l’estrema attualità della questione relativa all’obbligatorietà o meno del sopralluogo e alle conseguenze derivanti dalla sua eventuale omissione.

L’art. 92 del d.lgs. n. 36/2023 si limita, infatti, a prevedere – al comma 1 – che «Le stazioni appaltanti, fermi quelli minimi (…), fissano termini per la presentazione delle domande di partecipazione e delle offerte adeguati alla complessità dell’appalto e al tempo necessario alla preparazione delle offerte, tenendo conto del tempo necessario alla visita dei luoghi, ove indispensabile alla formulazione dell’offerta, e di quello per la consultazione sul posto dei documenti di gara e dei relativi allegati».

Ora, se è vero che l’inciso «ove indispensabile» ricalca – ancorché solo in parte – la formulazione contenuta nell’art. 8, comma 1, lett. b), del d.l. n. 76/2020 (c.d. decreto Semplificazioni), essendo venuto meno il richiamo al concetto di stretta indispensabilità (ndr. «strettamente indispensabile»), è anche vero che l’inciso «a pena di esclusione dalla procedura» presente all’interno del menzionato art. 8 non è stato riprodotto nel testo dell’art. 92, comma 1, del nuovo Codice dei contratti pubblici.

Peraltro, mentre nella Relazione illustrativa al testo del decreto Semplificazioni, si rimarcava – anche in considerazione della funzione del sopralluogo (ndr. ruolo sostanziale e non meramente formale, strumentale a una completa ed esaustiva conoscenza dello stato dei luoghi e funzionale alla redazione, con maggior precisione, dell’offerta) – che «(…) una clausola che contempli l’obbligo di sopralluogo a pena di esclusione non può di per sé dirsi contraria alla legge o non prevista dalla legge», la Relazione di accompagnamento al nuovo Codice dei contratti pubblici non contiene alcuna precisazione al riguardo.

Al tempo stesso, è parimenti innegabile che, pur a fronte dei rilievi che precedono, la formulazione proposta dall’Autorità Nazionale Anticorruzione sia all’atto dell’aggiornamento del Bando tipo n. 1/2021 (dapprima, con delibera n. 773 del 24 novembre 2021, poi con delibera n. 154 del 16 marzo 2022 e, infine, con delibera n. 332 del 20 luglio 2022), sia in sede di approvazione del Bando tipo n. 1/2023 (cfr. delibera n. 309 del 27 giugno 2023), sia, da ultimo, con la redazione dello Schema di bando tipo n. 2/2023 è rimasta immutata.

Si prevede, difatti, che «Il sopralluogo su … [indicare eventuali aree/locali oggetto di sopralluogo interessati ai servizi/forniture] è obbligatorio. Il sopralluogo si rende necessario per le seguenti ragioni … [fornire la motivazione]. La mancata effettuazione del sopralluogo è causa di esclusione dalla procedura di gara».

È, invece, variata, nel periodo di tempo intercorrente tra il 27 giugno 2023 (data di approvazione del Bando tipo n. 1/2023) e il 22 gennaio 2024 (data di avvio delle consultazioni sullo Schema di bando tipo n. 2/2023), la sensibilità dell’Authority rispetto all’importanza e alla rilevanza della tematica.

Prova ne è che nel questionario sottoposto agli stakeholder, nella Sezione G, al punto G.2, si chiede loro – «con riferimento alla possibilità di disporre l’esclusione nel caso di omissione del sopralluogo indicato come obbligatorio nel bando di gara» e in considerazione del fatto che «in vigenza del nuovo codice si è rinnovato il contrasto giurisprudenziale già esistente in vigenza del decreto legislativo n. 50/2016» – di far pervenire le proprie osservazioni «in merito alla possibilità di escludere il concorrente che non abbia effettuato il sopralluogo obbligatorio per inammissibilità dell’offerta ai sensi dell’art. 70, comma 4, lettera a) del codice».

Il riferimento al «contrasto giurisprudenziale già esistente» sottintende un rimando – nemmeno poi così implicito – agli approdi (di segno opposto) cui sono giunti, di recente, il T.A.R. Sicilia Catania, Sez. III, con la sentenza n. 3738 del 12 dicembre 2023 e il T.A.R. Lazio Roma, Sez. II-bis, con la pronuncia n. 140 del 3 gennaio 2024.

Nelle ultime settimane ha, infatti, ripreso vigore la contrapposizione tra l’orientamento che ravvisa la ratio della sanzione espulsiva (quand’anche non espressamente indicata) nell’esigenza di presentare un’offerta seria, consapevole e affidabile e il filone interpretativo che, di contro, considera detta sanzione contrastante con i principi di massima partecipazione alle procedure di evidenza pubblica, di divieto di aggravio del procedimento e di tassatività delle cause di esclusione, oltre che con il tenore letterale delle disposizioni normative tempo per tempo vigenti e applicabili. Vi è anche una posizione intermedia che, in mancanza di indicazioni espresse – all’interno della lex specialis di gara – sulle conseguenze derivanti dalla mancata effettuazione del sopralluogo, opta per un’interpretazione restrittiva, «maggiormente conforme al principio di massima partecipazione alla gara (eventualmente utilizzando, a questi fini, gli strumenti del soccorso procedimentale previsti dall’ordinamento)» (per una ricostruzione dei diversi indirizzi, cfr. T.A.R. Sardegna, Sez. I, 29 maggio 2023, n. 383; Cons. Stato, Sez. V, 18 marzo 2021, n. 2355).

In questo contesto, sarà pertanto interessante esaminare le osservazioni che perverranno da tutti gli operatori del settore, non solo per cercare di coglierne e di valorizzarne le sfumature, ma anche per verificare quale effetto avranno sulla finalizzazione del testo che, poi, confluirà nella versione definitiva del Bando tipo n. 2/2023.

Nelle more dell’approvazione del nuovo Bando tipo, si potrà comunque tener conto, ai fini dell’individuazione della regola del singolo caso concreto, delle sfaccettature desumibili dalla casistica giurisprudenziale.

In particolare, si potrà considerare che: i) in termini generali, il sopralluogo risulta «sostanzialmente preordinato a garantire la conoscenza e la comprensione, da parte di ciascun concorrente, della complessità del servizio da assegnare in relazione allo stato dei luoghi, al fine di consentirgli di calibrare, essenzialmente nell’interesse dell’amministrazione procedente, un’offerta tecnica seria e consapevole» (così T.A.R. Sardegna, n. 383/2023, cit.); ii) la previsione dell’adempimento del sopralluogo non è solamente funzionale all’interesse dei concorrenti alla conoscenza delle condizioni in cui il servizio dovrà essere svolto, ma è anche strumentale all’interesse precontrattuale dell’amministrazione a un confronto comparativo tra offerte consapevoli (cfr. T.A.R. Sicilia Palermo, Sez. I, 26 aprile 2019, n. 1154); iii) persino il sopralluogo facoltativo è utile alla corretta formulazione dell’offerta, perché consente di «ridurre il rischio di offerte inadeguate e di disfunzionalità nell’esecuzione del servizio» (così Cons. Stato, Sez. III, 4 maggio 2018, n. 2674); inoltre, dalla scelta – rimessa all’autoresponsabilità del singolo offerente – deriva «la preclusione della proposizione da parte della stessa impresa di ogni eccezione o contestazione sullo stato dei luoghi in fase esecutiva» (cfr. T.A.R. Sardegna, n. 383/2023, cit.); iv) gli effetti del sopralluogo si riverberano inevitabilmente anche sulla fase di esecuzione dell’affidamento, dal momento che, in tema di appalto di opere pubbliche, finanche «la dichiarazione dell’impresa di aver esaminato la situazione dei luoghi (…), traducendosi in un attestato di presa conoscenza delle condizioni locali e di tutte le circostanze che possono influire sull’esecuzione dell’opera e comportando un preciso dovere di conoscenza dell’appaltatore – dovere cui è correlata una altrettanto precisa responsabilità -, non può essere considerata superflua» (così Cass. Civ., Sez. I, 20 dicembre 2021, ord. n. 40873).

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Giurisdizione e congruità dell’offerta: non esiste una soglia minima di utile al di sotto della quale l’offerta è anomala https://www.appaltiecontratti.it/giurisdizione-e-congruita-dellofferta-non-esiste-una-soglia-minima-di-utile-al-di-sotto-della-quale-lofferta-e-anomala/ https://www.appaltiecontratti.it/giurisdizione-e-congruita-dellofferta-non-esiste-una-soglia-minima-di-utile-al-di-sotto-della-quale-lofferta-e-anomala/#respond Wed, 24 Jan 2024 17:01:33 +0000 https://www.appaltiecontratti.it/?p=27470

Prologo

In tema di verifica dell’anomalia e relativo sindacato giurisdizionale il giudice amministrativo non può operare autonomamente una verifica delle singole voci dell’offerta.

Né è possibile stabilire una soglia minima di utile al di sotto della quale l’offerta deve essere considerata anomala.

Mentre accede al sindacato del G.A. il percorso procedimentale seguito (se o meno lacunoso), l’eventuale manifesta e macroscopica erroneità del giudizio di congruità, ovvero la sua palese irragionevolezza.

Lo stabilisce il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana con la sentenza, 16 gennaio 2024, n. 5.

Il caso

La controversa vicenda verte sulla verifica dell’anomalia relativa ad una procedura di affidamento di servizi, in particolare dell’affidamento del servizio di riscossione coattiva delle entrate tributarie comunali.

In prime cure il giudice amministrativo ha accolto il ricorso proposto dall’impresa non aggiudicataria sostenendo l’irragionevolezza del giudizio di congruità dell’offerta economica della aggiudicataria svolto dall’amministrazione che aveva ritenuto non anomala l’offerta vincente.

Di diverso avviso si è detto il giudice di secondo grado che invece ha riformato la sentenza, ribadendo i limiti del sindacato giurisdizionale del G.A. sulla verifica dell’anomalia.

La decisione infatti è tutta incentrata sui “limiti interni” del sindacato del giudice amministrativo in merito alla decisione di congruità del prezzo.

La sentenza in esame infatti, tenuto conto dei ferrei limiti imposti dall’orientamento giurisprudenziale dominante al sindacato giurisdizionale sugli atti di verifica della anomalia dell’offerta (sindacabili solo in caso di macroscopica illogicità o irragionevolezza, erroneità fattuale o difetto di istruttoria), stabilisce che nel caso di specie, le giustificazioni rese dall’operatore economico ed il percorso procedimentale seguito, non consente a G.A. di rinvenire né manifesta e macroscopica erroneità, né palese irragionevolezza, né ancora lacunosità dell’iter procedimentale che ha condotto alla valutazione positiva.

La decisione

La sentenza Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia in esame, sebbene non si discosta dal percorso logico – argomentativo seguito dalla giurisprudenza amministrativa in subiecta materia, merita d’essere richiamata perché, pur confermando i limiti del sindacato giurisdizionale sul giudizio di verifica dell’anomalia, svolge comunque un giudizio di ragionevolezza della decisione amministrativa.

Confermando sostanzialmente che il controllo giurisdizionale ha ad oggetto più precisamente l’iter del procedimento di verifica della congruità dell’offerta economica, e l’attendibilità del contraddittorio tra P.A. e impresa.

La decisione in esame rammenta come , proprio perché la verifica dell’anomalia dell’offerta può comportare l’esclusione del concorrente dalla gara, la giurisprudenza ha stabilito che “l’obbligo di motivazione analitica e puntuale sulle giustificazioni sussiste solo nel caso in cui l’Amministrazione esprima un giudizio negativo, mentre tale onere non sussiste in caso di esito positivo del giudizio di congruità dell’offerta essendo sufficiente in tal caso motivare il provvedimento per relationem alle giustificazioni presentate dal concorrente” (cfr. Cons. Stato, sez. III, 28 dicembre 2020, n. 8442; Id., 14 ottobre 2020, n. 6209).

Il giudice amministrativo rammenta altresì che a livello di giurisprudenza unionale, la Corte di giustizia ha espresso, persino in relazione alle offerte complessivamente pari a zero, il principio per cui l’art. 2, 1, pt. 5, della direttiva 2014/24/UE, come modificata dal regolamento 2017/2365 della Commissione, deve essere interpretato nel senso che esso non costituisce un fondamento giuridico per il rigetto dell’offerta nell’ambito di una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico per il solo motivo che il prezzo proposto nell’offerta è di “EUR 0” (cfr. Corte di Giustizia, 10 settembre 2020, in causa C-367/19), e ciò perché “dalla logica sottesa all’articolo 69 della direttiva 2014/24 risulta che un’offerta non può automaticamente essere respinta per il solo motivo che il prezzo proposto è di EUR 0“, con la conseguenza che l’eventuale anomalia dell’offerta deve essere verificata in concreto e puntualmente motivata, rimanendo fermo che “le amministrazioni aggiudicatrici, in caso di sospetto di offerta anormalmente bassa, sono tenute a verificare l’effettiva sussistenza di tale carattere anormalmente basso prendendo in considerazione tutti gli elementi pertinenti del bando di gara e del capitolato d’oneri” (cfr. Corte di Giustizia, 15 settembre 2022, in causa C-669/20).

Sulla scorta di tale quadro interpretativo la sentenza in esame stabilisce che al di fuori dei casi in cui il margine positivo risulti pari a zero, non è possibile stabilire una soglia minima di utile al di sotto della quale l’offerta deve essere considerata anomala, poiché anche un utile apparentemente modesto può comportare un vantaggio significativo, sia per la prosecuzione in sé dell’attività lavorativa, sia per la qualificazione, la pubblicità, il curriculum derivante per l’impresa dall’essere aggiudicataria di un appalto pubblico e di averlo portato a termine.

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La funzione ordinante e nomofilattica del principio del risultato alla luce delle prime applicazioni giurisprudenziali https://www.appaltiecontratti.it/la-funzione-ordinante-e-nomofilattica-del-principio-del-risultato-alla-luce-delle-prime-applicazioni-giurisprudenziali/ https://www.appaltiecontratti.it/la-funzione-ordinante-e-nomofilattica-del-principio-del-risultato-alla-luce-delle-prime-applicazioni-giurisprudenziali/#respond Tue, 23 Jan 2024 09:35:48 +0000 https://www.appaltiecontratti.it/la-funzione-ordinante-e-nomofilattica-del-principio-del-risultato-alla-luce-delle-prime-applicazioni-giurisprudenziali/
L’art. 1 del d.lgs. n. 36/2023 (c.d. nuovo Codice dei contratti pubblici) ha codificato il principio del risultato, precisando che il risultato da raggiungere consiste nell’affidamento e nell’esecuzione dei contratti d’appalto e di concessione con la massima tempestività e con il miglior rapporto possibile tra qualità e prezzo, nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza e concorrenza.

Tale principio – già stato definito, da alcuni, in termini di “super principio” e, da altri, come “vera stella polare dell’intero corpus normativo” – costituisce criterio prioritario per l’esercizio del potere discrezionale e per l’individuazione della regola del caso concreto.

L’art. 4 del nuovo Codice stabilisce, poi, che “Le disposizioni del codice si interpretano e si applicano in base ai principi di cui agli artt. 1, 2 e 3”; per questo motivo è parso interessante osservare come l’interpretazione del principio del risultato stia “influendo” sulla definizione delle controversie pendenti, ivi incluse quelle soggette alla disciplina contenuta nel previgente Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 50/2016).

Così, nella pronuncia n. 4014 del 20 aprile 2023, la IV Sezione del Consiglio di Stato – nel vagliare la legittimità o meno di un decreto regionale di revoca dei contributi concessi a un’Amministrazione comunale per i lavori di realizzazione di un impianto geotermico – ha precisato che dal principio di proporzionalità (inteso come garanzia di un ragionevole equilibrio tra i mezzi utilizzati e i fini perseguiti) deriva «il corollario della c.d. “strumentalità delle forme” a un interesse sostanziale dell’Amministrazione (…), che di recente è stato codificato, mediante l’icastica formula del principio del risultato» dall’art. 1 del nuovo Codice dei contratti pubblici.

Il concetto della strumentalità delle forme è stato poi ripreso, sempre dal Consiglio di Stato, Sezione Terza, nella sentenza n. 9812 del 15 novembre 2023.

Nel caso di specie, relativo all’impugnazione di un provvedimento di aggiudicazione, il Supremo Consesso Amministrativo ha chiarito che il principio del risultato rappresenta il «criterio di soluzione del contrasto» tra il dato formale, rappresentato dal pedissequo rispetto delle prescrizioni contenute nella lex specialis di gara e il dato sostanziale dell’idoneità dei prodotti offerti (guanti chirurgici).

In particolare, poiché tale principio chiarisce che la procedura e la forma sono un mezzo e non il fine della disciplina, la sua applicazione fa sì che le esigenze connesse con la tutela della concorrenza e del mercato recedano quando non vengono in rilievo profili che presentano una diretta attinenza con la partecipazione e con l’ammissione dei concorrenti alla procedura di selezione, bensì aspetti che attengono esclusivamente all’attribuzione di punteggi premiali, legati, per l’appunto, alla qualità dei prodotti offerti.

Ne deriva che: i) quando si discute non già della presenza, all’interno del prodotto offerto, di una determinata caratteristica tecnica, ma solo dell’erronea modalità con cui si è giunti a comprovare la medesima (ad esempio, mediante autodichiarazione del legale rappresentante in luogo della produzione di apposita certificazione), la questione attiene «alla fisiologica contesa tra privati per l’acquisizione della fornitura», ma non incide in alcun modo sul conseguimento del risultato utile per la collettività e per l’Amministrazione in termini di massima tempestività e di miglior rapporto possibile tra qualità e prezzo del bene acquistato; ii) in tali ipotesi, il risultato «formalisticamente corretto» (consistente nell’attribuzione di un punteggio pari a zero, a causa della mancata produzione della certificazione richiesta dal Disciplinare di gara), in quanto espressione di una puntuale applicazione di tutte le regole procedurali, non si identifica con il risultato sostanzialmente giusto, ossia con quello che «correttamente riconosce e premia il prodotto oggettivamente migliore»; iii) in presenza di queste fattispecie occorre preferire una lettura non formalistica degli atti e delle regole della procedura di gara, che attribuisca rilievo prioritario alla correttezza sostanziale del modo di procedere seguito dalla stazione appaltante.

Resta comunque inteso – precisa il Collegio – che ciò non significa che la tutela della concorrenza e del mercato possano essere trascurate o non debbano essere adeguatamente perseguite, dal momento che «il “formalismo” delle procedure di gara si impone e prevale ogni qual volta sia in discussione la partecipazione delle imprese del settore ad armi pari».

Ha sottolineato l’importanza di propendere per una «direttiva antiformalista» anche il T.A.R. Lazio Roma, Sez. II, nella pronuncia n. 18735 resa in data 11 dicembre 2023.

Nel caso in esame, la stazione appaltante si era rifiutata di attivare il soccorso procedimentale, pur a fronte della presentazione, ad opera dell’operatore economico, di un’istanza di autotutela in cui aveva segnalato di aver correttamente dichiarato, nella relazione tecnica allegata alla propria offerta qualitativa, di essere in possesso di una certificazione ISO in corso di validità (peraltro, già inserita all’interno della busta amministrativa), ma di aver erroneamente prodotto, a corredo dell’offerta tecnica, la precedente certificazione scaduta.

In questo caso, la decisione dell’Amministrazione è stata censurata dai giudici di prime cure, proprio perché ritenuta contrastante con il principio del risultato, che risulta innervare l’intera disciplina dei contratti pubblici.

Presenta un indiscusso interesse anche la sentenza del T.A.R. Sicilia Catania, Sez. III, 12 dicembre 2023, n. 3738.

Nella pronuncia in esame – relativa a una procedura disciplinata dal d.lgs. n. 36/2023 in cui la stazione appaltante aveva respinto una richiesta di sopralluogo, presentata con ampio ritardo rispetto ai termini stabiliti nella lex specialis di gara, precludendo, nei fatti, all’aspirante concorrente di presentare la propria offerta – si è attribuito rilievo al principio del risultato per sottolineare che «il miglior risultato possibile, che sia anche il più “virtuoso”, viene raggiunto anche selezionando operatori che dimostrino, fin dalle prime fasi della gara, diligenza e professionalità, quali “sintomi” di un’affidabilità che su di essi dovrà essere riposta al momento in cui, una volta aggiudicatari, eseguiranno il servizio oggetto di affidamento».

Le conclusioni raggiunte sul punto nella sentenza de qua contrastano con quanto affermato dal T.A.R. Lazio Roma, Sez. II-bis, nella sentenza n. 140 del 3 gennaio 2024, proprio con riferimento alla tematica del sopralluogo.

I giudici capitolini, difatti, nell’annullare un provvedimento di esclusione fondato, tra gli altri, sul mancato espletamento del sopralluogo, hanno affermato che nessuna disposizione del d.lgs. n. 36/2023 configura il sopralluogo quale adempimento necessario per la formulazione dell’offerta e che tale necessità non può essere ricavata dall’art. 92, comma 1.

Tale disposizione «non può essere interpretata nel senso di consentire alla stazione appaltante di prevedere il sopralluogo a pena di esclusione dalla gara ma va intesa semplicemente come precetto indirizzato esclusivamente all’amministrazione al fine di vincolarla a parametrare i termini di partecipazione alla gara agli adempimenti propedeutici alla formulazione dell’offerta».

Secondo i giudici di prime cure, quest’opzione ermeneutica risulta coerente, oltre che con il principio dell’accesso al mercato disciplinato dall’art. 3 del nuovo Codice dei contratti pubblici, anche con gli orientamenti del giudice d’appello formatisi sul testo del previgente art. 79, comma 2, del d.lgs. n. 50/2016. Ne discende – quale diretta conseguenza – la nullità della clausola contenuta nel Disciplinare di gara, per violazione del principio di tassatività delle cause di esclusione di cui all’art. 10 del d.lgs. n. 36/2023.

L’iter argomentativo, per come “costruito”, non persuade.

È vero che la sentenza non risolve la questione, facendo applicazione del principio del risultato ed è vero che le circostanze di fatto che sono alla base delle due pronunce sono profondamente diverse (nella vicenda definita dal T.A.R. Sicilia il sopralluogo non era stato effettuato, mentre nel caso deciso dal T.A.R. Lazio il sopralluogo era stato svolto, anche se con modalità diverse da quelle «assistite» prescritte dalla stazione appaltante, circostanza quest’ultima ritenuta dal T.A.R. «meritevole di adeguata considerazione»), ma cionondimeno: i) l’art. 92, comma 2, introduce un concetto – quale quello dell’indispensabilità (ndr. «ove indispensabile alla formulazione dell’offerta») – che non era presente nel testo dell’art. 79, comma 2; ii) lo stesso Bando Tipo Anac n. 1/2023 – cui le stazioni appaltanti sono tenute a uniformarsi nella predisposizione della documentazione di gara, salvo motivare espressamente in ordine alle eventuali deroghe (cfr. art. 83, comma 3, del d.lgs. n. 36/2023) – pur riconoscendo il carattere facoltativo del sopralluogo, stabilisce che, quando esso assume carattere obbligatorio, la mancata effettuazione «è causa di esclusione dalla procedura di gara» (cfr. punto 11); iii) negare sic et simpliciter che il sopralluogo possa assumere, nel singolo caso concreto, valenza sostanziale ai fini di una migliore formulazione dell’offerta equivale, nei fatti, a «mortificare» quell’iniziativa e quell’autonomia decisionale dei funzionari pubblici che il principio della fiducia favorisce e valorizza, specie con riferimento «alle valutazioni e alle scelte per l’acquisizione e l’esecuzione delle prestazioni secondo il principio del risultato» (cfr. art. 2, comma 2).

Sotto altro profilo, si è soffermata sulla nozione di risultato come nozione che «non ha riguardo unicamente alla rapidità e all’economicità, ma anche alla qualità della prestazione», da intendersi in termini di sostanziale corrispondenza tra quanto offerto e quanto domandato, la III Sezione del Consiglio di Stato con la pronuncia n. 11322 del 29 dicembre 2023.

Anche questa decisione presenta diversi profili di indubbio interesse, a cominciare dalla lettura del principio di concorrenza quale principio che presuppone (anche) la capacità dell’impresa di stare sul mercato, offrendo prodotti in grado di soddisfare una domanda pubblica qualificata.

Nello specifico, in un contesto – come quello attuale – nel quale il contratto d’appalto ha assunto sempre più i contorni di uno «strumento a plurimo impiego», funzionale all’attuazione di politiche industriali, economiche, ambientali, sociali ed etiche, «la migliore offerta» è certamente sì quella che presenta le migliori condizioni economiche, ma solo a parità di requisiti qualitativi richiesti.

In quest’ottica, il raggiungimento del risultato (nel caso di specie, gestione a ridotto impatto ambientale del servizio di ristorazione scolastica) implica «verifiche sostanziali e non formali, di effettività del raggiungimento degli obiettivi (di merito e di metodo), oltre che di astratta conformità al paradigma normativo».

La mancanza della certificazione EMAS, richiesta quale requisito di partecipazione alla gara, esclude, dunque, nel caso de quo non solo che l’offerta possa rappresentare un risultato conforme alla tutela degli interessi sottesi alla commessa pubblica, ma anche che la medesima possa essere considerata la «migliore offerta» in un’ottica di risultato.

Chiude, infine, la rassegna la sentenza del T.A.R. Campania Napoli, Sez. I, 15 gennaio 2024, n. 377, che si sofferma sull’impiego del principio del risultato quale «criterio interpretativo per i casi (…) in cui debba essere risolto il dubbio sulla sorte della legge di gara, che non può dirsi assolutamente mancante di prescrizioni inderogabili», nella specie riferite ai criteri ambientali minimi.

Secondo il Collegio, allorquando la lex specialis di gara contenga un puntuale riferimento ai decreti ministeriali di riferimento, insieme ad alcune specificazioni riferite ad una o più prestazioni, il principio del risultato può essere declinato in termini che pongano l’accento sull’esigenza di privilegiare l’effettivo e tempestivo conseguimento degli obiettivi dell’azione pubblica grazie alla valorizzazione di tutti i fattori sostanziali dell’azione amministrativa, escludendo che la procedura di gara possa venire vanificata in tutti i casi in cui non sussistano ragioni obiettive che ostano al suo espletamento. Sono così destinati a recedere – di fronte al prioritario interesse al pronto raggiungimento delle finalità dell’appalto – «quei formalismi ai quali non corrisponda una concreta ed effettiva esigenza di tutela del privato».

L’analisi che precede ci restituisce – ad oggi – la fotografia di una chiara contrapposizione tra i concetti di “sostanza” e “forma”, in tutte le loro declinazioni. Al tempo stesso, è evidente che l’attività dell’interprete si sta orientando sempre più verso un approccio sostanzialistico. Ciononostante, sarà interessante monitorare la successiva evoluzione giurisprudenziale, anche per verificare come verranno risolte alcune criticità (si pensi, ad esempio, al mancato richiamo al principio di imparzialità) già segnalate dai primi commentatori.

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